Va', metti una sentinella

 
copertina del libro 'Va', metti una sentinella'

Harper Lee se n'è andata pochi giorni fa, all'età di ottantanove anni, a Monroeville, la sua cittadina natale in Alabama, nel profondo sud degli Stati Uniti.

Ed è proprio lì, in Alabama, che "Va', metti una sentinella" - l'ultimo libro pubblicato dalla scrittrice, ma in realtà il primo da lei scritto - introduce, o meglio riporta, il lettore: a Maycomb, cittadina rurale del profondo Sud, dove "i gentiluomini fumavano sulla veranda o nelle amache, mente le dame si rinfrescavano con i ventagli e bevevano acqua fresca". "Va', metti una sentinella" fu scritto a metà degli anni Cinquanta, gli anni delle prime predicazioni di Martin Luther King, gli anni dei boicottaggi e dei sit-in non violenti, gli anni cruciali che precedono quel 1963 che noi tutti abbiniamo alla Marcia su Washington.      
      
Scout - che qui viene quasi sempre chiamata Jean Louise, il suo vero nome - torna da New York a trovare il vecchio padre, Atticus Finch. Ritrova la sua Maycomb, la Maycomb che da una parte odia per la mentalità chiusa e razzista dei suoi abitanti, ma che dall'altro la riporta ai ricordi dell'infanzia, ai giochi con il fratello Jem e con l'amico Dill e al tribunale del giudice Taylor.

Se all'inizio il conformismo e la mentalità chiusa della gente di Maycomb la fanno sorridere, in quanto si riferiscono a semplici questioni di presunta educazione - come il piccolo scandalo di Jean Louise vista a fare il bagno nuda al chiaro di luna -, tutto cambia e diventa più amaro e irritante quando subentra la questione razziale. La presenza di una forte comunità afroamericana nella cittadina di Maycomb viene suggerita al lettore solo dopo una cinquantina di pagine, con una mano nera che si allunga a porgere il conto a Scout durante una cena con il fidanzato.

Lei riconosce il proprietario di quella mano e lo saluta, dicendogli "Ti hanno messo una giacca bianca". Quando lui la chiama "Miss Scout" ecco che riaffiora tutto quello che i lettori hanno amato ne "Il buio oltre la siepe", con i giochi di Scout, Jem e Dill nelle estati senza fine degli anni Trenta, fra cortili, altalene, alberi su cui arrampicarsi, imitazioni da fare, limonate servite da Calpurnia, la serva di colore, perché "la limonata a metà della mattina era un appuntamento quotidiano". Ricordi che sono esemplificati da una serie di scene perfette, descritte e rievocate in presa diretta, che avrebbero potuto costituire alcune delle migliori pagine de "Il buio oltre la siepe". E naturalmente, affiora (anche se non vengono fatti nomi) anche il vecchio caso di Tom Robinson, l'uomo nero palesemente innocente che Atticus Finch aveva difeso negli anni Trenta e che è centrale nell'altra opera di Harper Lee.

Ma pian piano tutto sembra sgretolarsi sotto gli occhi di Jean Louise e anche sotto quelli del lettore. I discorsi fatti da una vecchia compagna di scuola di Scout, durante un ricevimento in un pomeriggio estivo, esemplificano la mentalità di certi cittadini del Sud dell'epoca e sono così urticanti anche perché potrebbero essere fatti ora, nel 2016, solo mutando un po' i ruoli e sostituendo alcuni personaggi. Jean Louise si sente un pesce fuor d'acqua, barcamenandosi fra caffè e tovagliolini da cocktail, mentre attorno a lei si materializza l'ipocrisia sciocca della sua gente, tutti falsi credenti sprofondati da un lato nell'atmosfera di sospetto e di paura dettata dalla caccia alle streghe anticomunista di McCarthy e dall'altro nell'atavico e quasi viscerale disprezzo per i neri.

"Siamo circondati"; "...vogliono imbastardire la razza..." ; "be', non vorrei mescolarmi con tutti quegli italiani e portoricani" ; "un'altra rivolta come quella di Nat Turner": questa è la mentalità contro cui inevitabilmente si scontra Scout e contro cui si scontrano i suoi pensieri.

Pensieri scritti efficacemente in prima persona: "quando andavo a caccia non violavo la terra di un negro, non perché era di un negro, ma perché non dovevo violare la terra di nessuno", "c'erano centinaia di negri intorno a me, erano braccianti che raccoglievano il cotone, o lavoravano sulle strade, o segavano il legname per la costruzione delle nostre case"; fino al pensiero-culmine che più esemplifica la situazione difficilissima dell'America di quegli anni: "hanno dovuto persino approvare delle leggi per impedirvi di odiare". Così, quando un'altra vecchia conoscente racconta scandalizzata a Jean Louise di aver dovuto fare colazione in un drugstore di New York a fianco di una donna di colore, Jean Louise sente di aver bisogno di una sentinella, una sentinella che le dica "questo è ciò che un uomo dice, ma questo è ciò che pensa".

Questioni private e pubbliche si compenetrano, mentre l'immagine che Jean Louise ha di suo padre Atticus - e che migliaia di lettori hanno avuto per cinquant'anni - pian piano scricchiola e si frantuma: Atticus Finch, da avvocato difensore dei neri in una cittadina razzista, mostra il suo lato debole di uomo e di cittadino ed evidenzia, in discorsi assolutamente non politically correct, ma purtroppo veri, le problematiche reali del Sud, di una comunità spesso analfabeta, estremamente povera e senza istruzione, che talvolta sembra non avere altro che macchine ruggenti per farsi valere, come si legge all'inizio del libro.  

Una cosa sembra certa: se "Il buio oltre la siepe" è stato introdotto come lettura obbligatoria nelle scuole statunitensi, "Va', metti una sentinella" non lo sarà. Quali che siano le ragioni - economiche o politiche - per cui questo libro, scritto cinquant'anni fa e sequel di un capolavoro come "Il buio oltre la siepe", sia stato pubblicato solo ora, una cosa in particolare sembra suggerire questa pubblicazione: guardate sempre, in ogni situazione politica e sociale, l'altra faccia della medaglia. 

 


 
 

 

Sara Relli - ERBA magazine
 
Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 10/1/2017

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