Landskin al Fabbrichino

Quando performance, land art e high tech riescono a creare un varco spazio-temporale alla scoperta del Sè

 
foto di scena dello spettacolo 'Landskin'
Fonte: www.tpo.it

Venerdì 22 luglio al Fabbrichino è andata in scena l’ultima replica di Landskin, una performance davvero molto particolare. Per chi non fosse riuscito a vederla, oggi ve la raccontiamo noi.

Lo spettacolo è stato ideato dalla compagnia TPO del Fabbrichino grazie alla direzione creativa di Davide Venturini e Francesco Gandi e alle straordinarie artiste Valentina Consoli e Valentina Sechi.
Al momento di prendere posto nella sala ci avvolge un forte odore di terra, di fresco, di balsamico, solo dopo entrati si scorge un tappeto di fresche foglie di eucalipto illuminato da proiezioni di texture ricavate da immagini di cortecce.

Le proiezioni creano movimenti fluidi che si uniscono alle forme delle foglie; la musica elettronica completa l’ambiente sinestetico e immersivo, e plasmano un clima tra lo psichedelico e il conturbante. 

Improvvisamente due corpi femminili emergono da questo ambiente, nudi e ricoperti di pigmenti argillosi che assorbono le luci. Lo spazio diventa dinamico, i corpi si muovono con fattezze di animali selvatici, esplorano la superficie, creano una forte tensione tra lo spazio scenico e lo spazio del pubblico, il quale, pur non essendo attivamente coinvolto, si sente attratto da una forza emotiva-centripeta.

 
foto di scena dello spettacolo 'Landskin'
Fonte: www.tpo.it

La sensazione è di trovarsi in un non-luogo e in un non-tempo, il turbinio della performance risveglia una sorta di inconscio collettivo e archetipi jungiani saltano subito in mente: la percezione del Sé, la percezione dell’Altro, il rapporto col corpo e con lo spazio; e un qualcosa di potente e femminile (ma non meglio identificabile) tira le fila di tutto e gestisce tempi e sensazioni.

I movimenti primitivi e primordiali delle artiste, la musica elettronica che fa vibrare i timpani e il sentore di eucalipto risvegliano antichi sensi da troppo tempo addormentati. La fisicità dei corpi e le loro scultoree posizioni rimandano all’antico come al moderno, dalla statuarietà dei ‘kouros’ greci alle posizioni dinoccolate in cui lo scultore Auguste Rodin costringeva le sue modelle.

La performance dura relativamente poco, quando tutto finisce improvvisamente chiudendo col buio, nella mente vagano molti interrogativi, ma la sensazione prevalente è quella di non voler uscire più da quella piccola scena ormai buia e abbandonata, perché tornare alla vita reale sembra faticoso
e si vuole continuare a tenere svegli quei sensi e quelle sensazioni che la società contemporanea tende ad anestetizzare.

 

 

Elena Janniello - ERBA magazine
 
Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 25/7/2016

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