Gli incastri multicolor di Gio Pistone

Benvenuti tra gli ‘incredibili mostri’ dell’artista romana

 

Gio Pistone è un’artista romana che si esprime attraverso varie tecniche e superfici. La passione dell’arte ce l’ha nel DNA, ama andare in bicicletta, disegnare e guardare film horror. Lavora in un grande studio, M.U.T.A, con ben altri 13 artisti.
In esclusiva per Erba Magazine la sua intervista tra poesia, energia, positività e tanti colori…

 
 

Ci sono state persone, fatti della tua vita che sono stati per te d’ispirazione nel tuo percorso sia a livello artistico che personale? C’è stato qualcuno che ha aiutato a fare uscire questo tuo lato creativo o è stato un processo del tutto naturale?
Ciao a tutti, mi presento... Sono Gio Pistone, piacere.
Sin da quando sono nata ho vissuto in una casa frequentata da artisti, musicisti, liberi pensatori, insomma, anche se sono figlia unica, il classico senso di solitudine non l’ho mai avvertito, piuttosto il contrario, rischiavo il soffocamento… ahahaah… Mio padre, quando ero piccola, aveva una bottega di stampa da incisione, dunque, fin dai 6 anni, ho imparato a stampare su linoleum, rame con tecniche diverse (puntasecca, acquaforte) ed avevo anche cominciato ad usare il bulino qualche anno dopo. Questo è anche il motivo per cui, una volta cresciuta ed individuata la mia odierna passione, il disegno, ho accantonato totalmente la stampa, che ho scoperto non fa per me; mi annoio da morire. Disegnare era per me come parlare e camminare ed è per questo motivo che non ho mai voluto studiare nel campo dell’arte; come se non avessi voluto educare il mio modo quasi innato, ad altri già consolidati.

Come ti sei avvicinata all’arte urbana e cosa ha significato il passaggio alla materia ‘muro’? Che sensazione ti ha dato dipingere per la prima volta un qualcosa che potesse essere visto da un pubblico molto più vasto ed il fatto che il tuo messaggio potesse arrivare in maniera diretta a chiunque passasse di fronte alla tua opera?
Disegnare in grande è stata da sempre una passione perché avevo la possibilità di dipingere come e dove volevo nella mia camera. La sensazione del grande mi ha sempre molto ispirata e fomentata, poi verso i 18 anni ho preso ad attaccare miei disegni per strada con la colla da parati in momenti in cui questo non c’era molto a Roma, c’erano locandine di concerti dei centri sociali, ed è forse da quelle che venivo ispirata, tante tag e graffiti. Ora che il muralismo è diventato in parte anche un lavoro, dopo anni capisco che, quel brivido che provavo, lo provo anche adesso ma è completamente diverso, lo percepisco come qualcosa di molto più articolato. Penso che creare opere di Arte Urbana sia di grande responsabilità, rifletto molto sul colpo d’occhio e mi concentro sul cercare di dare sensazioni positive, ci metto tutta me stessa, anche se è difficile, perché siamo tutti molto diversi ed anche il dipinto più innocuo, come esempio estremo quello di un gattino di colore rosa, a qualcuno potrebbe sembrare un messaggio satanico; quindi è cosa assai difficile accontentare tutti, ma ci provo sperando che il mio mondo possa essere più positivo che il contrario.

Le tue creature, al primo impatto, ricordano i personaggi dei libri che ci leggevano le mamme da piccoli, ma ad una più attenta osservazione - proprio come le immagini delle tue opere ne racchiudono altre - anche i messaggi racchiusi in esse sembrano ramificarsi. Ed è lì che arrivano altre sensazioni; arriva l’energia, arriva la forza, ma arriva anche la fragilità e le paure di chi li ha dipinti. Cosa si cela dietro i tuoi dipinti?
Sono mostri che sognavo da bambina e che mia madre, giovane studentessa di psicologia, poiché mi svegliavo spaventata e piangente, mi incitò a disegnare, a dare un volto alle mie paure. Questo gioco terapeutico fu, oltre che miracoloso, perché smisi di aver paura, anche incredibile perché a livello creativo mi aprì le porte di questo mondo. A 5 anni presi a disegnare mostri della mia fantasia ed è incredibile che, dopo tutti questi anni, io faccia ancora questo. Che monotonia direte, ed invece no, perché questo è un vero e proprio mondo e la fantasia non ha confini. Non considero i miei esseri “diversi”, perché non credo che non esistano esseri non diversi nel mondo, nessuno è uguale all'altro e la parola “mostro” io non la uso nel senso di alieno o brutto perché diverso, piuttosto nell'accezione di “incredibilmente abile a fare qualcosa” e unico nel suo genere come ognuno di noi. I miei esseri dunque sono unici sicuramente ed incredibilmente forti o alti o capelluti e così via... vederli in giro per la città mi fa una grande tenerezza, perché non appena disegnati vivono di vita propria ed il mio sguardo diventa quello che si ha nei confronti di un amico a cui si vuole molto bene. Questa familiarità mi spinge poi a dargli dei nomi, anch'essi di fantasia, inventati da me e questa è l'ultima cosa che faccio per loro prima di liberarli nel mondo. Perché avere un nome è importante.

 
 

Colori netti, forme geometriche, tratti che si intersecano ma rimangono sempre molto riconoscibili gli uni dagli altri, pur facendo parte di un qualcosa di unico. Questa caratteristica rispecchia un lato del tuo essere o è semplicemente una scelta puramente estetica per creare maggiore impatto in chi guarda l’opera?
Come ti dicevo prima c’è poco di ragionato nel mio modo di disegnare che è come camminare, forse nel pensare disegni da dipingere sul muro un po’ di più, perché devo riflettere anche sulla fattibilità, e spesso semplifico il segno per riuscire ad agevolare il lavoro in altezza.
Il mio limite, che considero un difetto ma anche un pregio, per il fatto che è veramente così che sono e non riesco a prescindere da me stessa, è che quando comincio un lavoro ho già un’idea e, anche se non va bene, non riesco a cambiarla mai, la prima visione è, e sarà, quello che poi farò.

Attraverso personaggi fantasiosi e dai colori vivaci riesci comunque a far passare forte il tuo punto di vista sulla società in cui viviamo e a denunciare le cose che non vanno. Credi che l’arte in questo senso abbia una forza intrinseca incredibile e la capacità di arrivare senza filtri a tutti?
Sì secondo me sì, ma non in modo diretto. Tutto ciò che è slogan, politica ha poco a che vedere con l’arte secondo me. Come diceva Maria Lai, uno dei miei punti di riferimento assoluto nella vita, “l’Arte è una concretezza che contiene un pezzo di Universo e quindi ce lo rende afferrabile altrimenti ci sfuggirebbe”. Secondo me riuscire a trasmettere visioni non terrene di positività e cambiamento è possibile, ma in modo personale, quindi criptico, sennò diventa utile e l’arte utile e spiegata è qualcosa che non lascia il mistero che la rende eterna e sempre attuale.

Spesso hai abbinato la tua arte ad iniziative di impegno sociale e politico come nel caso della due giorni nel quartiere di Ballarò a Palermo dove, insieme ai ragazzi del progetto SOS Ballarò e ad altri artisti coordinati da ‘I mangiatori di patate’ e ‘Caravanserai’, avete riqualificato l’intero quartiere attraverso l’arte. Parlaci un po’ di questa esperienza.

‘Riqualificato il quartiere’ non credo proprio, questo spetta agli abitanti ed al Comune di Palermo. Noi in quel caso abbiamo pulito e sistemato una piccola piazzetta del quartiere, che è enorme, bellissimo e pieno di contraddizioni e situazioni caotiche. E’ ben lungi da me il pensiero che con un disegno e qualche panchina si possa riqualificare! Quella esperienza è stata molto bella, ma come vedi io ho disegnato una grande Volpe, c’è poco di sociale e didascalico nel mio lavoro in sé, c’è di più nel gesto di averlo fatto ed aver dato a quella piazza un po’ di colore e spensieratezza e soprattutto di averla resa un po’ meno discarica.

L’ultima tua opera per ‘AnconaCrea’, Spazio-Tempo, fa riflettere sul concetto di infinito. Sei intervenuta su un’installazione semi-circolare al cui interno, sul pavimento, si trovavano i simboli dello spazio e del tempo. Qual è l’idea che c’è dietro questo lavoro? Che sensazioni hai provato a sentirti al centro dell’opera che stavi realizzando, abbracciata dalla tua stessa arte?
Ho ragionato dapprima sulla struttura ed il luogo in qui era collocata, un parcheggio di Ancona. Dunque un luogo non bello per me, odiando le macchine e lo smog; ho pensato quindi ad un luogo che si potesse spostare nel tempo, un anello temporale, che potesse spostarsi e fuggire presto da lì. La forma circolare poi mi ha fatto pensare ad una tomba etrusca ed a una nave spaziale, quindi ho unito le due sensazioni, pensando che fosse un luogo che in realtà già viaggiava nel tempo e nello spazio da molto e che fossi io ad averlo voluto portare lì disegnandolo e che si sarebbe presto rispostato per viaggiare ancora, chiamato da qualcun’altro. La tomba è sicuramente nella mia fantasia, la tomba di un padre indiano d’America, i cui figli disegnati lo ricordano, infatti i loro profili insieme portano alla luce il volto del padre adorato. Posti al di fuori del circolo ci sono due guardiani, che danno sacralità alla struttura ed anche un senso di intimità; infine a terra ho inventato il simbolo dello spazio-tempo-viaggio che sta ad indicare lo spostamento continuo di questo posto sacro e d’amore in un luogo del tutto profano e brutto come un garage.

Un grazie speciale da parte della redazione per la tua poesia…


Se volete conoscere meglio l’artista e le sue opere:
Sito Internet Gio Pistone
Pagina FB Gio Pistone 
Profilo Instagram giopistone

 

 
 
 
 
 

Francesca Nieri - ERBA magazine

Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 31/3/2017

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