Un tetris di parole per sognare e fare insieme

L’opera di ETNIK dà il benvenuto all’entrata dei nuovi spazi di Officina


Il video della realizzazione dell'opera 'Step Into The Wor(l)ds' di Etnik sul muro del bar di Officina Giovani in occasione di Officina+20, la festa del ventennale.

 

Nato a Stoccolma, ETNIK, vive e lavora a Torino. Attivo nella scena graffiti writing sin dai primi anni '90, ha ricercato sempre una nuova strada per superare i limiti classici della disciplina portando la pittura murale ad alti livelli, ideando e organizzando anche eventi che hanno messo in contatto i migliori artisti del panorama europeo. Dal 2001 il suo modo di dipingere comincia ad evolversi verso forme geometriche e architettoniche, partendo dal lettering che diviene la base su cui Etnik imposta l’intero impianto concettuale e compositivo della sua ricerca artistica.
Lo abbiamo intervistato in occasione della realizzazione del murales 'STEP into the WOR(L)DS' sulla facciata del nuovo bar di Officina Giovani inaugurato durante la festa dei venti anni di questo spazio tenutasi lo scorso 8 giugno.

Quando e con quale approccio ti sei avvicinato all’ambiente underground, decidendo di portare la tua arte in strada? Cosa ti ha insegnato per diventare l’artista completo e professionale che sei adesso?
Ho iniziato nel ’92, all’epoca ascoltavo i Public Enemy, Run Dmc e tutta la musica hip hop fine anni ’80 e mi ci sono buttato. La svolta è avvenuta dopo aver conosciuto un writer serio di Milano che dipingeva già da metà anni ‘80, che mi ha spiegato tutte le prime regole dei graffiti. Dopo mesi di bozzetti sono sceso in strada, scegliendomi fin da subito la tag ETNIK: volevo che fosse un nome internazionale che avesse un significato. Poi abbiamo iniziato a muoverci sulla scena fiorentina per conoscere altri artisti e writers e, dopo un anno, è nato il piccolo collettivo di 4-5 persone. Intorno al ’96 con la prima convention internazionale che abbiamo organizzato a Pisa, ‘Panico totale’ (da qui il libro che abbiamo fatto 20 anni dopo), siamo venuti in contatto tutti e, con quelli con cui ci siamo trovati di più a livello personale ed artistico, è nata la prima crew toscana. Da qui i vari nomi… Ozmo, Zed, Aris, DukeOne a Firenze, io e altri tra Pisa e Grosseto siamo diventati la prima crew di 8 artisti e abbastanza buoni perché, dopo 22 anni, almeno 6 su 8 siamo ancora operativi. Come crew abbiamo dipinto in gruppo per 10-15 anni, poi ora ognuno ha intrapreso il proprio percorso. Ci rivediamo qualche volta per fare delle collaborazioni o per organizzare mostre collettive. Tra pochi giorni faremo una delle nostre reunion e ci ritroveremo tutti insieme… 

Dalla scena toscana ti sei spostato a quella torinese, cosa hai trovato in più da un punto di vista artistico a Torino?
Mi sono spostato a Torino 3 anni fa, ma già collaboravo con i miei soci torinesi da 10 anni. Feci una mostra a Torino nel 2006 e da lì si sono aperte varie porte. Avendo girato un po’ l’Italia e avendo abitato a Roma ed in Toscana, Torino mi è sembrata una città più fertile: c’è un panorama bellissimo, mi piace molto e ho un bello studio dove lavoro.

Le tue origini sono nel writing e nel lettering, ma partendo da questo hai interpretato in chiave decisamente più personale questa corrente inserendo elementi di design ed illustrazione che si fanno carico sempre di un messaggio ulteriore… Come strutturi i tuoi lavori e qual è l’elemento centrale che possiamo ritrovare in ogni tua opera?
Esattamente io parto dal lettering. In ogni lavoro che faccio, anche in quelli che sembrano composizioni astratte o di parole, in realtà, in tutte la basi geometriche di sottofondo, c’è la mia tag ETNIK. Per me la provenienza dal mondo del graffito è importante e deve rimanere e vorrei che le mie origini fossero sempre presenti in quello che faccio, anche se negli anni si sono sicuramente evolute. Per questo io metto sempre come base costruttiva di quasi ogni mio lavoro il mio lettering. Su questo vado poi a raccontarci di volta in volta delle storie che fanno da sfondo: che sia una rappresentazione di un agglomerato urbano, un agglomerato urbano che si scontra con la natura o, come in questo lavoro, degli agglomerati urbani composti da parole con cui voglio far soffermare a riflettere i giovani che frequentano questi spazi.

Da dove deriva la passione per le forme geometriche e per uno stile che richiama l’architettura molto pulito e minimalista? Ti ispiri a qualche corrente del writing in particolare? Qual è il messaggio o la sensazione che vorresti trasmettere con le tue opere?
La passione per le forme geometriche deriva dal fatto che mi è sempre piaciuta l’architettura ed il design. Passione che poi non c’entra niente con quello che ho studiato, perché sono scenografo, e con le mie origini legate più alla pittura, ma poi ho intrapreso questo percorso più minimalista perché la forma geometrica, architettonica mi piace. Ci sono due correnti di graffiti, una olandese ed una tedesca che fanno lettering 3D geometrico, che mi hanno sempre attratto ed influenzato. Nei miei lavori, voglio che venga fuori la linea, il segno e le geometrie anche quando costruisco le lettere. Ho eliminato completamente la parte figurativa e pittorica (puppet, paesaggi) che facevo in precedenza, anche se non mi limito assolutamente al graffito, perché voglio comunque arricchirlo di elementi, i miei ‘agglomerati fluttuanti e sospesi’ che partono dalla tag per prendere tutto lo spazio intorno. All’inizio ero partito con l’idea che certe intersezioni urbane dovessero annullarsi l’un l’altra, dando un senso di ‘perdita di equilibrio’ nello spettatore. Vedendo un paesaggio sospeso, non ci doveva essere un sopra ed un sotto, l’immagine poteva essere anche capovolta ed avere comunque un senso e gli agglomerati potevano essere visti e quindi interpretati da tutte le prospettive.

Questo muro sarà un bel biglietto da visita per questo spazio, affacciato sulla piazza e quindi ben visibile da tutti e posto all’entrate di una piccola officina creativa in continua evoluzione… Come ti sei trovato a lavorare a questo progetto? Ci sarà un collegamento con la città? Quale vorresti fosse il messaggio che i giovani che popoleranno questo spazio leggessero nella tua opera?
Nell’approccio col muro sono stato completamente libero, non ho avuto nessun tipo di richieste su commissione. Ero già affezionato ad Officina Giovani perché ci avevo fatto un intervento pittorico circa 10 anni fa, poi sono tornato nel 2010 per fare un workshop con i ragazzi e, quindi, questo spazio me lo sono vissuto più volte. Mi fa piacere che questa volta il mio intervento sia un po’ l’ingresso a questo spazio; è un muro che dà sull’esterno che però ti fa anche entrare dentro Officina, dove si apre un mondo di attività. Nel muro ho messo solo scritte, saranno 10 parole chiave in inglese che vanno ad intersecarsi. Queste rappresenteranno le attività che qui si trovano e la crescita di un ragazzino adolescente che dovrebbe viversi uno spazio di questo tipo, che non in molti comuni si trova, e poterci prendere il meglio… un invito a creare, imparare e comunicare con gli altri. Io lo vivrei al 100% così, per questo metterò parole quali ‘scambio’, ‘imparare’, ‘crescita’, ‘esperienza’… La speranza è che i ragazzi che passeranno da Officina Giovani si soffermino davanti al muro per decifrare le parole, leggerle e tradurle, visto che saranno in inglese. Ed è il mio modo per tenere il più possibile davanti al muro i ragazzi e le persone che passeranno da Officina Giovani.

 
 
ETNIK all'opera al muro del nuovo bar di Officina Giovaniparticolare del muro del nuovo bar di Officina Giovani a firma ETNIK
 
ETNIK all'opera al muro del nuovo bar di Officina GiovaniETNIK all'opera al muro del nuovo bar di Officina Giovani
 


Francesca Nieri - ERBA magazine
 
Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 18/6/2018

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