Raphael Gualazzi

Concerto al Politeama Pratese

 
giuseppepanella.it

 
C'è il pianista jazz che fa della musica una materia da plasmare imponendole il suo ego sconfinato, quasi prepotente nel dimostrare, in ogni virtuosismo, di saper stare sempre un passo oltre, più in là di quello che il pezzo stesso sembra suggerire.
 
Finge di accompagnarti a scoprire qualcosa, di raccontartelo, dargli voce, e invece ti sta ammaliando, sta facendo il suo gioco: dopo un po' la musica, stravolta, scomposta, reinventata, resta poco più di un crogiolo di note in balìa di forze estranee, marionetta mossa senza fili, impotente e imponente a un tempo. Un cavallo lanciato a briglia sciolta ma diretto a suon di frusta, un'amante bellissima ormai conquistata, fedele o forse solo impaurita. Ultima vanità: ostentare una parvenza di normalità dimessa e quotidiana, che significa in realtà farsi ancora più lontano, inspiegabile, imprendibile.

E poi c'è Raphael Gualazzi: l'artista che la musica la stravolge, si, ma perchè la insegue ovunque, goffo e instancabile, per improvvisare serenate sgraziate, per scontarsi con lei ad ogni angolo fingendo che sia per caso, lasciando cadere mazzi di fiori di campo, che sembrano raccolti con distrazione eppure, altrettanto per caso, accordati perfettamente tra loro.
é un corteggiamento insistente e impudente il suo, quasi infantile, improbabile: tanto improbabile da strappare alla musica un sorriso stupito, quando si scopre lei stessa capace di una leggerezza che ancora non è diventatata il contrario della serietà.
 
La simbiosi sul palco (musicisti strepitosi, tutti) è immediata, naturale, una semplicità riconquistata oltre ogni sfida, fiducia o prudenza: ironia complice, acrobati che lasciano la presa con la certezza assoluta che ci sia qualcuno a tenere il filo, dall'altra parte. Il singolo virtuosismo è il gioco di parole che alimenta una conversazione surreale, l'amico che parte per avere qualcosa da raccontare alla compagnia riunita, la sera del ritorno. Intanto, le mani che si rincorrono sulla tastiera liberano la musica, fanno sgorgare dalle note un'anima nuova per tuffarcele dentro, volteggiano con loro in un divertimento da giostra, quelle giostre su cui all'inizio sei stordito, impaurito e poi invece scopri che il mondo intorno è colore fuso, te la ridi e non vorresti più scendere.

Nessuna strategia di conquista, nessuna materia da plasmare, nessun ego da imporrre. Dopo aver inventato la giostra, che gusto c'è a restare a guardare? Gualazzi la inventa per poterci salire, per fingere di lasciarsi prendere in giro e poi guardarci tutti, sornione, contento di aver convinto ancora una volta la sua amica, la sua amante, a giocare con lui.

 



 

Alice Giuliani - ERBA magazine
 
Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 27/6/2016

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