Casa di bambola

Una riflessione sul contesto storico

 
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L'opera teatrale di Ibsen "Casa di Bambola" è sicuramente un capolavoro, dato che presenta una protagonista femminile interessante dal punto di vista psicologico, soprattutto quando, alla fine del terzo atto,  Nora ha una sorta di "epifania" e comprende di essere stata per tutta la vita niente più che un orpello per il marito, una bambola.

Il lettore contemporaneo non può che provare empatia  per la condizione sociale e psicologica nella quale Nora è costretta a vivere. Il personaggio di Torvald appare essere di una misoginia intollerabile per i canoni a cui  siamo abituati oggi. È però necessario fare un inquadramento storico di quella che era la condizione della donna durante l'epoca vittoriana, periodo che prende il nome dalla Regina Vittoria d'Inghilterra (tanto pudica da volere che le tovaglie dei tavoli fossero lunghe fino a terra, dimodoché le gambe "nude" del tavolo non suscitassero pensieri sconvenienti negli uomini).

Casa di Bambola fu quello che oggi verrebbe definito un caso letterario e teatrale molto particolare, anzi,  di più, scandaloso; il testo e la protagonista andavano a minare completamente l'idea che si aveva della donna all'epoca.
 
Rappresentare una figura femminile, nel 1879, che mostrasse una presa di coscienza della propria vita e della propria posizione rispetto alla famiglia e alla società, non deve apparire un evento qualunque. La particolarità dell'opera viene rimarcata dalle reazioni alla stessa: basti pensare che per poter rappresentare il testo in Germania, Ibsen fu costretto a cambiare il finale, visto che l'attrice che avrebbe dovuto interpretare Nora si rifiutava di recitare la parte di una madre snaturata.
 
Non era percepita come una figura femminile alla ricerca della propria identità e del proprio posto nel mondo, bensì come una donna che abbandonava la famiglia perché ormai "perduta"; anche per questo a Ibsen venne accusato di aver scritto un'opera femminista solo perché rimarcava il disagio della donna nella società coeva.
Nell'età vittoriana la donna era vista come l'Angelo del focolare, dedita al marito, ai figli e alla casa; non veniva considerata come un soggetto dotato di personalità propria, proprie aspirazioni e proprie capacità intellettive. Nel testo stesso si rintracciano dei riferimenti alla frustrazione causati nell'essere una "donna di famiglia", ad esempio quando, parlando con la signora Linde del lavoro fatto di nascosto al marito, Nora afferma, riguardo al fatto che il lavoro fosse stancante: "Ma era lo stesso estremamente divertente star lì seduta a lavorare e guadagnare del denaro! Era quasi come se fossi stata un uomo".
 
Alle donne infatti non era permesso lavorare se sposate e se appartenenti a sfere sociali medio-alte, giacché era visto come un disonore per l'uomo - il pater familia - che aveva  il compito di mantenere la famiglia.

 

Anche nel caso di donne dei ceti più bassi o di vedove, gli unici lavori permessi erano quelli di domestica o insegnante (come farà la Signora Linde). Men che meno alle donne era concesso possedere denaro o trattarne; per questo Nora, secondo i canoni dell'epoca, dovrebbe provare vergogna per il gesto che ha compiuto, cioè l'aver richiesto denaro ad uno strozzino per salvare la vita al marito. Il fatto di aver falsificato la firma del padre ed avere commesso un illecito è solamente un'aggravante al disagio del marito per il fatto che Nora abbia contratto un debito; nonostante tutto Nora non prova mai rimorso per quello che ha fatto, perché i gesti compiuti erano stati fatti per amore del marito e del padre. Qui si intuisce come Ibsen ritenga esistere una morale sociale (degli uomini) ed una morale femminile, legata agli affetti e all'amore.

La società appare molte volte nei dialoghi dei vari personaggi, come nella discussione finale fra Torvald e Nora:
 "Torvald. Un senso morale lo avrai, no? Oppure, rispondimi... non ce l'hai forse? NORA. Non è facile risponderti, Torvald. Non lo so. In queste cose mi perdo. So solamente che al riguardo ho una opinione diversissima dalla tua. Ho saputo anche, adesso, che le leggi son ben diverse da quello che io pensavo che fossero, ma che queste leggi poi siano giuste è una cosa di cui non riesco a convincermi. Una donna non dovrebbe dunque avere il diritto di risparmiare il proprio vecchio padre morente o di salvare la vita al proprio marito! Questo non posso crederlo. HELMER. Parli come una bambina. Non capisci nulla della società in cui vivi. NORA. No, non capisco. Ma ora voglio riflettere. Devo riuscire a vedere chi ha ragione, se la società o io.  
 
Le donne non erano parte della società civile, una società plasmata dagli uomini per gli uomini; Nora deve quindi uscire dal suo personaggio, smettere di essere una bambola per capire cosa voglia dire vivere nella società.

 

Dobbiamo infine ricorda che l'era vittoriana era anche il periodo nel quale alle donne veniva diagnosticata l'isteria per qualsiasi patologia: stress nervoso, mancanza di appetito, mancanza di forze, scatti di rabbia, depressione, epilessia erano tutti sintomi di un utero, malato che spesso veniva rimosso chirurgicamente. L'isterectomia prima e, nel secolo successivo, l'elettroshock, vennero usate sulle donne che, stanche e aliene alla propria posizione nella società, presentavano crolli.
 
Anche la medicina dell'epoca (con Charcot prima e Freud, suo allievo, dopo) non riusciva a comprendere il perché del malessere femminile ed elaborava teorie fantasiose ma spesso inutili e controproducenti, come il complesso di inferiorità nei confronti dell'uomo (la famosa "invidia del pene" freudiana). In realtà quello che mancava alle donne era la capacità di poter decidere del proprio corpo, della propria vita e della propria anima; la bellezza nel personaggio di Nora è che essa vuole imparare a conoscere sé stessa per poter poi riuscire a decidere per la propria vita.

 

 

Glenda Pagni - ERBA magazine
 
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Ultima revisione della pagina: 10/1/2017

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