David Grossman il romanziere, il saggista, l'attivista, ma soprattutto l'uomo di vita vissuta, una vita di conflitti. Quelli esteriori della guerra, della sofferenza, del dolore, della paura. Quelli interiori di un uomo alla ricerca di sé e degli altri, o meglio di sé attraverso gli altri. Questa la grande personalità di Grossman che è emersa, stimolata dalle domande del giornalista polacco Wlodek Goldkorn, durante il terzo incontro della rassegna "Uomini in Guerra" promossa dal Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato.
La conversazione ha toccato diversi argomenti: dalla politica alla teoria della letteratura, arrivando a trattare questioni etiche, sociali e psicologiche di fondamentale importanza. Merita particolare menzione l'identificazione compiuta dall'autore tra la scrittura e "l'erigersi di un mondo" che costituisce il nucleo significativo della sua esperienza.
"Scrivere un buon libro è creare un mondo" così Grossman vuole mettere in luce il carattere artificiale dello scrivere ma anche, allo stesso tempo, il suo 'prendere' dalla vita quotidiana, dal famoso mondo, che è sostanzialmente complessità, perché le situazioni umane (ad esempio la guerra) sono intricate, talvolta inestricabili, apparentemente irrisolvibili e quindi solo un occhio profondo, avvezzo alla vita e scevro da pregiudizi, può osservare in maniera netta e imparziale.
Da qui deriva l'invito rivolto alla platea a non dare niente per scontato, a guardare il mondo in maniera disincantata ma responsabile: vederlo sotto la giusta luce equivale a trovare le parole per descriverlo. E' questo che lo scrittore fa: trovare una parola è dare una definizione, dare una definizione è riconoscere, riconoscere è capire.
Una storia prende vita da un circolo tra il reale e l'immaginazione: lo scrittore immagina, ma immagina dalla vita, dal reale della sua esperienza trasfigurandola e il racconto da "immaginato" quale è stato, torna al reale perché descrive situazioni all'interno delle quali tutti si possono riconoscere.
Ed è proprio questo che dà la possibilità di uscire fuori dalla letteratura, questo è il grande compito di ogni scrittore secondo Grossman: uscire dalla teoria letteraria trovando punti di contatto in questo circolo per arrivare ad una pacifica interazione tra gli uomini, ad una condivisione spesso difficile da vedere, perché i nostri occhi sono proiettati unicamente e istintivamente verso il pregiudizio come primo concetto, il più facile da accettare in quanto riesce a inquadrare il mondo in un sistema semplice e cosi più facilmente conoscibile.
Grazie a questo assume centralità, all'interno del discorso dello scrittore, il ruolo dell'empatia, l'immedesimazione nell'altro, il "sentire con l'altro" che diventa un sentire di tutti e per tutti, sentimento che eviterebbe all'umanità la stragrande maggioranza dei suoi problemi. È solo sfruttando questa tendenza umana che si può ricreare quel movimento di armonia nel mondo che riflette l'ordine e la compiutezza di un buon libro.
Nell'ultima parte della conversazione, lo scrittore si abbandona a considerazioni di natura politica sulla situazione israelo-palestinese. La risoluzione del conflitto deve passare necessariamente dal dialogo e dal compromesso, uniche possibilità di svolta e di convivenza pacifica.
L'ostacolo maggiore è la mentalità delle persone di ambo le parti, una mentalità distorta dalla continua paura, dai continui attacchi: è proprio questa mentalità distorta che non permette la riconciliazione, ma porta ad armarsi, a prevenirsi contro l'altro e ad attaccarlo preventivamente.
La paura, motore che innesta meccanismi distruttivi deve lasciare il passo, ad una visione del mondo esente da pregiudizi dove dell'altro non si ha paura. Solo così possiamo, di volta in volta, volgerci sempre più alla disponibilità, al "sentire con l'altro", all'empatia fondamentale, strumento di pace.
Giulio Chiasserini - ERBA magazine
Punto Giovani Europa