La storia delle due protagoniste, Elena (Lenù) e Raffaella (Lila), si svolge in un quartiere di Napoli alle soglie degli anni '50 e racconta l'amicizia tra queste due personalità quasi totalmente agli antipodi, ma capaci di completarsi al tempo stesso.
Per i più affezionati alla letteratura italiana, viene da pensare alla Digitale Purpurea di Giovanni Pascoli, in cui una delle protagoniste del poema, spiccava per la sua personalità enigmatica ed era oggetto di emulazione da parte dell'altra amica. Ed è proprio ciò che succede ne L'amica geniale, dal momento che Lila dimostra subito possedere un'intelligenza cattiva, per non parlare del suo spiccato coraggio che la rende agli occhi degli altri e di Elena stessa, una persona fuori dall'ordinario e restia alle regole non scritte che tuttavia condizionano le abitudini e le personalità degli abitanti del quartiere, fortemente chiuso e bigotto. Sarà proprio questa aura di mistero che avvolge Lila a suscitare una forte emulazione da parte dell'amica Elena, la quale spesso e volentieri agisce pensando a cosa farebbe l'altra in una situazione analoga.
Eppure, se da un lato è Elena a voler emulare Lila, crescendo le parti si invertiranno e sarà proprio quest'ultima a voler essere simile all'amica, perché ai suoi occhi appare come tutto ciò che avrebbe sempre voluto essere e ciò che sarebbe voluta diventare: le sarebbe piaciuto avere avuto la possibilità di finire gli studi, cose che, a causa di alcune divergenze col padre, non ha mai portato a compimento. Questo sarà uno dei tanti motivi per cui Lila stessa, nel corso del romanzo, inizierà a soffrire di un malessere da lei chiamato "smarginatura", che si manifesta come un'improvvisa presa di coscienza del mondo che piano, piano, si insinua dentro se stessa come un vero e proprio malessere esistenziale.
"Il 31 Dicembre del 1958 Lila ebbe il suo primo episodio di smarginatura... in quelle occasioni si dissolvevano all'improvviso i margini delle persone e delle cose".
Elena Ferrante, grazie alla propria onestà brutale dei sentimenti e al realismo psicologico, da' vita ad una scrittura definita da lei stessa "chirurgica" poiché riesce a delineare perfettamente la psicologia di ogni personaggio. Non si risparmia nemmeno quando viene affrontato l'argomento dell'amore, dipinto sempre come molesto: ne è un esempio il personaggio di Melina, che ritorna spesso nelle vicende delle due protagoniste (anche indirettamente), sedotta da un uomo sposato che alla fine decide di rimanere con la famiglia, lasciandola così in uno stato di totale follia. La Ferrante sembra dare un monito ad Elena e Lila grazie a questo personaggio: ecco cosa fa l'amore. Un sentimento che ha sempre a che fare con l'odio, la cattiveria ed è distruttivo.
La scrittura chiara e fluida del romanzo, vi terrà incollati alla pagina fino alla fine. Tale genialità risiede infatti nelle apparizioni finali di personaggi che daranno vita a piccoli colpi di scena e che rimandano inevitabilmente al romanzo successivo. L'amica geniale fa infatti parte di una quadrilogia.
In questo modo non ti sembrerà mai di arrivare alla fine.
L'ultima volta che ero stata a Berlino avevo appena 7 anni, era il 1988, l'anno prima della caduta del muro e ricordo ancora il passaggio alla dogana dalla Berlino est alla Berlino ovest, la rigidità dei militari, e il sorriso appena accennato di uno di loro quando mi affacciai da sotto il bancone della guardiola. Dopo la tappa d'obbligo alla East Side Gallery, il maggior tracciato del muro di Berlino rimasto in posizione originale - ben 1,3 km - interamente dipinto con graffiti fatti da diversi artisti riguardanti il tema della pace e della caduta del muro, siamo finiti quasi per caso sullo storico ponte rosso di Berlino che ancor oggi separa la Berlino dei turisti dalla Berlino più verace.
Attraversando l'Oberbaumbrücke hai proprio la sensazione che, dall'altra parte del ponte, Berlino si sia fermata a vent'anni fa con i suoi negozini vintage che vendono ancora le vecchie Polaroid e i localini dove il tempo sembra essersi fermato. Ed è qui sul ponte rosso che i miei occhi furono letteralmente catturati dai due più celebri murales dell'artista marchigiano Blue, tanto che, rapita da quello che i miei occhi avevano inquadrato, mollai sulla parte opposta del ponte figli e marito per andare a fotografarli. 'Brothers' e 'Chains' si presentavano in maniera dirompente sull'altra riva del fiume Sprea.
Camminando più avanti mi sono poi ritrovata faccia a faccia con un'altra opera spettacolare di Blue, Leviathan, o Pink Man l'uomo fatto di una moltitudine di uomini che si sta per mangiare un altro uomo... l'unico diverso dagli altri perché bianco.
L'arte di strada è speciale perché spontanea, nasce quando e dove vuole. E allo stesso tempo secondo me dovrebbe trasformarsi, integrarsi, col suo ambiente circostante, magari essere sostituita da un'altra opera, ma non concepisco nemmeno lontanamente l'idea che di un'espressione così spontanea dell'arte sia deciso giorno e ora della sua fine. Sarebbe stato bello che i palazzi di nuova costruzione avessero inglobato queste due opere d'arte, stupendoci come solo Berlino sa fare, e non snaturando l'essenza di quel quartiere. Invece hanno deciso la soluzione più veloce... BLACKon BLUE.
Eleonora Giovannini - ERBA magazine
Punto Giovani Europa