Fino al 26 luglio a Palazzo Fava-Palazzo delle Esposizioni di Bologna, è possibile visitare la mostra dedicata al grande artista americano Edward Hopper. L'evento è stato organizzato da Arthemisia Group, Fondazione Carisbo e Genus Bononiae, in collaborazione con il comune di Bologna e il Withney Museum of American Art di New York. Si tratta di un'occasione unica per scoprire un'artista che è normalmente confinato nel territorio americano.
Hopper nasce nel 1882 in un piccolo paesino nello stato di New York e si dedica allo studio della rappresentazione grafica e pittorica fin da ragazzo, frequenta infatti la New York School of Art, poi attratto dal fervore artistico europeo, si reca a Parigi, città che lo colpisce profondamente e che continuerà ad affascinarlo per tutta la vita. Hopper è una persona schiva e silenziosa, non è inserita nel contesto artistico del suo tempo, non ama le avanguardie dell'epoca, il cubismo prima e l'astrattismo poi, è invece legato all'arte impressionista, soprattutto trae ispirazione da Degas che considera uno dei suoi artisti preferiti. Hopper non è quindi associabile ad una corrente, bensì costituisce uno stile a parte, i suoi soggetti sono emblema della solitudine, i suoi lavori sono istantanee di vita, brevi attimi isolati di narrazione, che suggeriscono un senso di sospensione eterno. Sarà per questo che spesso lo si associa al mondo del cinema e della letteratura, i suoi personaggi sembrano attori del cinema muto, in sostanza dicono molto con la loro sola fisicità.
Uno dei quadri che più colpisce il visitatore è la Soir Bleu, si tratta di un dipinto audace che rappresenta alcuni personaggi immersi in una realtà quotidiana alquanto bizzarra: colpisce il trucco eccessivo della prostituta, l'unica che rivolge lo sguardo allo spettatore, l'espressione triste dell'uomo travestito da clown, l'apparente tranquillità della coppia vestita elegante che probabilmente è in attesa di godersi uno spettacolo, l'uomo seduto sulla sinistra, con lo sguardo arcigno, che potrebbe essere il magnaccia della ragazza. Il quadro non piacque ai conservatori americani per l'eccessiva insolenza e non ebbe successo, fu infatti tenuto nascosto dall'artista per molti anni. Oggi è uno dei suoi lavori più apprezzati.
In Francia Hopper non riesce a trovare fortuna, torna quindi in America e qui inizia il periodo che più lo identifica artisticamente: la rappresentazione delle pompe di benzina isolate, i paesaggi deserti che fanno da sfondo a case solitarie, dettagli architettonici che si perdono nella spazialità del quadro. Hopper si immerge in uno studio sfrenato della luce e della sua non-rappresentazione. Vuole illuminare gli oggetti con il colore puro, giallo o bianco, senza rappresentare fasci direzionali partiti dal sole o dalla luce artificiale delle lampade.
Oltre ai piccoli paesini sperduti, troviamo di nuovo la città di New York, altro luogo del cuore dell'artista, con i suoi interni e i grattacieli dominanti.
La mostra si articola su due piani e ci lascia immergere nella vita dell'artista, ci rendiamo conto di quanto tempo dedicasse allo studio dei soggetti, prima con lo schizzo a matita e poi con l'aggiunta del colore. Percepiamo l'andamento evolutivo del suo sentore artistico, la predilezione per l'olio su tela o legno, ma anche l'uso di acquarelli e grafite su carta. Alcune sue citazioni ci accompagnano durante il percorso, sono frasi brevi, concise, una su tutte rappresenta la sua natura schiva: "Se potessi dirlo a parole, non ci sarebbe alcun motivo per dipingere".
Per concludere la visita in bellezza è inoltre possibile entrare in un suo dipinto, addentrarsi nei suoi colori e prendere posto. Come? Scopritelo! Avete
tempo fino al 26 luglio!
Per ulteriori dettagli e informazioni: www.mostrahopper.it
Francesca Rinaldi - ERBA magazine
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