Ubu Roi

In scena al teatro di Rifredi

 

Odore di carne. Carne bruciata.

All'inizio non capisci da dove proviene, se è immaginato, se lo percepisci solo tu: un fastidio che ti penetra dentro; ma poi comprendi e vedi che è lì, proprio sotto il tuo naso. Non puoi far a meno di respirarlo. É inevitabile. Ti abbandoni, lasciandoti introdurre, e anticipare simbolicamente, alla mattanza che assaporerai sulla scena.
Uno spettacolo spettacolare, rocambolesco e divertente. E inquietante, davvero inquietante, e satirico, surreale, provocatorio, esagerato e grottesco, molto grottesco.

La trama è semplice ma spiegare Ubu Roi è complicato. Nato nel 1986 da Alfred Jarry - e da "Merdre" (neologismo di sua invenzione, incrocio tra "mère" e "merde") - Padre Ubu è il caposaldo del Teatro dell'assurdo o della scienza delle soluzioni immaginarie o cioè della 'Patafisica. Vive ormai da molti decenni di vita propria, scorrazzando nei teatri di mezzo mondo ed un bel giorno è approdato fra le mani talentuose di Roberto Latini e della Fortebraccio Teatro: da lì è stato amore. E sangue, fatto di fiori, e vendetta, e terrore lucido e spaventevole, attori-danzatori e opera teatrale (ancor più che letterale) fusi insieme, carne e sangue, ossa, carne e sangue.

Una sorta di horror, a tratti splatter, pieno di umorismo brillante, fatto di personaggi strani, metà umani e metà d'ignota natura. La storia è una sorta di reinterpretazione del Macbeth di Shakespeare (anche se Latini crea un medley delle tragedie dell'autore passando anche per Romeo e Giulietta, La Tempesta, Amleto, Giulio Cesare), dove un uomo voglioso di potere (padre Ubu) - coadiuvato dalla feroce e ambiziosa moglie (madre Ubu) - uccide un re e ne usurpa il trono (diventando Ubu re), impiantando un regno di furore e dolore. Seguirà la vendetta del figlio del roi ucciso e lo scatenarsi di una caotica guerra.

Intorno, una costellazione di esseri mascherati, o fatti di maschere, orsi innamorati, morti, spettri, reietti e storpi. Onnipresente in scena un oscuro e clownesco Pinocchio.

(E presente in platea c'è il Tempo. C'è tempo per gustare, guardare, non solo vedere). I due coniugi alla fine la faranno franca come da copione, ma un copione che si vive nella vera realtà e accade molto meno nelle tragedie teatrali, scappando sani e salvi in cerca di altri luoghi, ruoli, avventure. Infatti il ciclo Ubu continua con le opere Ubu cornuto e Ubu incatenato.
 
Meschinità e difetti dell'uomo, ambizioni, deliri e crudeltà eccetera eccetera, si potrebbe disquisire a lungo su significati, simboli e morale. Ma io mi fermo qui. Lo spettacolo va visto, vissuto, odiato o
amato, respirato.

Tante le citazioni, i simboli iconografici, i riferimenti anche cinematografici: i film di Stanley Kubrick come Arancia Meccanica, il richiamo ai costumi dei drughi di Alex e compagni - mixati ai falli pendenti del teatro satirico greco - e alla loro brutale violenza, o alle maschere delle scimmie di 2001: Odissea nello spazio; a Carmelo Bene, Artaud, Leo de Berardinis, e mi vengono in mente anche i film di Jodorowsky ma senza psicomagia, il trasformismo di The Rocky Horror Picture Show di Jim Sharman, Orson Welles, etc.

C'è tanto, non troppo, giustamente ed eccessivamente dosato. Uno spettacolo denso di particolari e carambole stilistiche di grande impatto, si tengono gli occhi e i sensi spalancati, dove tutto viene dilatato in un'atmosfera innaturale, dal retrogusto di pazzia: un teatro che non si vede spesso, che lo si cerca ma invano, e che qui invece si trova, si materializza e ne rimani abbagliato e confuso e sì, anche divertito, con una nota d'inquietudine in sottofondo che non ti elimini una volta calato il sipario.

Ubu Roi di Latini è arte visiva pura, è un racconto fatto per immagini, forti e lucide; posso solo tentare di lasciare le mie parole libere, e che a narrare siano le suggestioni che esse suscitano, senza rivelare la sorpresa e senza alterare quel mistero che è il teatro...
...fiotti di sangue fatti di pon pon scintillanti,
fiotti di sangue fatti di petali di rose, rosse,
guanti rossi, mare rosso; bianco tanto bianco, dal sapore di oriente e di cerone, nero.

Zar, zen, samurai,
con una katana per fucile;
piume, ghiaccio, scheletri e catene,
chiasso e smargiasso, confusione e poesia,
danza, animalità,
palloncini scoppiati, messaggi trasportati;
la candela verde,
risate mostruose, pupi, angeli e pagliacci,
corone per megafoni,
cariole per re e cornici per morti.

Ah. Poi la puzza di carne morta se ne va.

 

UBU ROI
di Alfred Jarry
Fortebraccio Teatro
adattamento e regia Roberto Latini
un progetto realizzato con la collaborazione Teatro Metastasio Stabile della Toscana
http://www.fortebraccioteatro.com/produzioni/18/ubu-roi.html

 

 

Eugenia La Vita - ERBA magazine
 
Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 22/11/2016

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