Sabato 19 novembre è andata in scena presso il Museo per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci la reinterpretazione da parte della compagnia Muta Imago di uno dei più importanti pezzi del teatro musicale italiano del secondo Novecento, Hyperion, di Bruno Maderna basato sul romanzo di Johann Christian Friedrich Hölderlin. Questo spettacolo è stato presentato nei teatri d’Europa dagli anni ‘60 fino ai giorni nostri, in versioni differenti e si può definire uno spettacolo “a tutto tondo” in quanto vi interagiscono varie forme d’arte: danza, musica e canto lirico, ed è uno dei primi esperimenti di teatro contemporaneo della storia.
Lo spettacolo si è svolto nella suggestiva “stanza bianca” del Museo Pecci, luogo neutro che, come una pagina bianca, rappresenta uno sfondo ideale per la creazione e l’apparizione magica dell’opera. Da questa pagina bianca appaiono, così, come da un sogno, un uomo, al centro di una piattaforma rotonda e, ai suoi lati, un flautista e una cantante lirica.
La musica, i movimenti del ballerino e la voce lirica si inseguono, si influenzano reciprocamente in un unico dialogo e ci conducono in un viaggio esistenziale molto intenso e travolgente. Non mancano, inoltre, le immagini, proiettate su uno schermo circolare che appare sopra la testa dell’uomo, come un cielo oscuro, nebuloso, minaccioso, di vento, rari uccelli, alberi spogli, che risvegliano il tormento dell’anima. E’ questa, infatti, l’emozione principale che emerge dallo spettacolo: il tormento interiore dell’uomo di fronte alla sua umanità, nudo, solo con se stesso, di fronte al divino, all’altrove infinito e irraggiungibile.
Hyperion (in greco “colui che sta in alto”) è un uomo – che potrebbe essere definito il Poeta, o l’Artista – che si isola dal mondo e trova rifugio nel rapporto con la natura e col divino, un uomo che cerca costantemente di accedere alla vetta, alla perfezione, in una parola all’ideale. I suoi movimenti sono esercizi di superamento del limite corporeo e rappresentano una sfida: il superamento della condizione umana e sociale, il rifiuto della società in cui vive e il raggiungimento della verità. Una lotta destinata a fallire ogni volta che il desiderio e il sogno si materializzano. E allora l’uomo cade, una, mille volte, perché la bellezza, l’armonia e la completezza vivono nella dimensione “altra”, quella del sogno, di cui l’artista si nutre, ma a cui non potrà mai accedere.
“Io cerco ancora senza mai trovare, interrogo le stelle ed esse ammutoliscono, interrogo il giorno e la notte (...)”.
“In me stesso, quando interrogo me, echeggiano detti mistici, sogni senza significato (...)”
“Ed io mi adirai con questa celeste creatura (…)”.
“Perché non era inaridita, come me, non aveva bisogno di un altro essere, di una ricchezza estranea per riempire il luogo devastato (…)”.
“Perché non aveva bisogno di afferrarsi ad un altro".
Queste sono alcune citazioni simboliche dell’opera, che appaiono su uno schermo in alto, come sottotitoli del canto lirico in lingua originale (tedesco).
Alla fine dello spettacolo il cielo si avvicina miracolosamente all’uomo che vi disegna la sagoma di un altro uomo: l’essere umano non è fatto per stare solo e se davvero la vita è lottare e inseguire l’ideale, se è un continuo alternarsi di sogni e desideri, seguiti da cadute e fallimenti, allora perché non farlo insieme?
Ideazione, Spazio scenico: Muta Imago
Regia: Claudia Sorace
Drammaturgia musicale: Riccardo Fazi
Performer: Jonathan Schatz
Eleonora Mari - ERBA magazine
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