Fa’ afafine - Mi chiamo Alex e sono un dinosauro

Una coraggiosa storia che va oltre il teatro

 

Un pezzo diviso in due. Come le ambivalenti reazioni del pubblico allo spettacolo Fa’ afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro. La polemica è tentatrice, ma prima di cimentarmi in personali sproloqui, voglio illustrare semplicemente la piéce.

Lo spettacolo, tratto dal libro di Lori Duron “Raising my Rainbow” (Il mio bellissimo arcobaleno), affronta un tema attuale e coraggioso, il genere sessuale di un bambino: Alex è uno con le idee chiare (beato lui) almeno sulla sua identità sessuale, e cioè che si sente di essere una persona di entrambi i sessi, a volte femmina a volte maschio. Quello che desidera è essere un fa' fafine (come i ragazzi di Samoa - da qui la parola esotica – che non si identificano esattamente né in un sesso né nell’altro) o meglio, vuole che questa “condizione” sia riconosciuta e accettata dagli altri. Dalla famiglia, dai compagni di scuola, da Elliot il ragazzo di cui è innamorato, da tutti. Perché lui non capisce come mai il suo genere debba destare tanto odio, paura, incomprensione, è una cosa semplice, è quello che sente di essere, cosa c'è da capire? Solo perché la maggior parte della gente è in un modo (più socialmente accettabile?), non vuol dire che lui non possa esprimersi liberamente in un altro. Diverso, differente? Forse, ma questo lui/lei è.

I genitori inizialmente sono sopraffatti: emozioni, stereotipi, indottrinamenti sociali, culturali fanno da padrone; è la prima reazione, il primo impatto. Poi, con più calma respirano, e mano a mano comprendono e sentono, riescono ad uscire dalle loro costrizioni mentali riconnettendosi col figlio. Un lieto fine sì, perché questa è una storia semplice e leggera, punta solo il riflettore su un tema (ad alcuni scomodo ed indigesto) che c'è, che esiste, ma di cui non si parla mai; illumina solo una realtà, considerata un tabù.

Tra le due parti in scena, un muro, della camerina “fantastica” di Alex (che come lui di volta in volta cambia e si trasforma, ora in astronave, ora in oceano), del suo personale e chiuso mondo incantato dove tutto può accadere. Una parete divisoria tra genitori e figli, tra generazioni, tra sessi, una barriera con solo un piccolo spiraglio di comunicazione, di apertura, che è la toppa della porta, e che pian piano si aprirà: quando verrà accettato totalmente e quando si sentirà amato totalmente, Alex uscirà dalla sua stanza riappropriandosi della libertà che gli spetta nel mondo.

A molti non è piaciuto, ma ciò non è corretto... a molti ha dato fastidio, ha irritato, ha scandalizzato al punto di scatenare rivolte pseudo razziste, al punto di scacciarlo dai teatri di mezza Italia, di censurarlo sopratutto nella distribuzione e promozione nelle scuole. Perché “dicono” che può far generare confusione nei ragazzi giovani, che può condizionare/indottrinare a questi “gusti”... e cose così, nascondendosi insomma dietro un dito, un dito di ragazzi innocenti  issati  a bandiera della moralità... Ma è uno spettacolo che va visto (sopratutto prima di giudicare e mettere al rogo). Polemiche, scandali, censure? Oscar Wilde direbbe “... purché se ne parli”, ma le cattive chiacchiere possono far male e al di là del teatro mi chiedo come si devono sentire le persone che sono dei  fa'fafine a sentire tali sciocchezze…

É una pièce che affronta un argomento. Punto. Un tema che fa luce semplicemente su un aspetto dell'animo umano, che sia esso sessuale e/o morale. Il teatro può riportare in scena ciò che è la vita e parlare di cose che raccolgono/raccontano di esperienze e di vissuti, i più vari, il teatro apre un mondo, apre al mondo. Talvolta è fantasia, talvolta coincide con la realtà. É uno spettacolo che narra la storia di una persona - di un ragazzino, un bambino, che sempre persona è, su questo non c'è da questionare – che tratta della sua identità, del suo essere, anche intimo, una cosa importante dunque, degna di  rispetto;  il  protagonista Alex non è che scopre o impara o gli viene rivelato qualcosa dall'esterno, ma sa chi è, è se stesso, maschio o femmina per lui non fa alcuna differenza (e perché dovrebbe farla a noi?). Si accetta per chi è. Nonostante  l'ambivalenza  apparente, il dubbio amletico che può apparire (maschio-femmina? carne-pesce?), in realtà è una grande sicurezza - e libertà - avere la certezza di non essere né l'una né l'altro e trovarsi a proprio agio in questa non-definizione dell'essere. Gli umani cercano sempre di etichettare, catalogare, definire, di restringere per cercare di capire. Ma a volte bisogna solo lasciare che sia. Senza per come, senza perché.

 

Comprendo che a molti possa spaventare questa libertà, ma ogni giorno nel mondo c'è gente che cerca di spingere l'asta della conoscenza un po' più in là, che siano essi scienziati, artisti, imprenditori, spirituali. Si cerca quindi, in contrasto con la necessità di tenere tutto sotto controllo, di andare più avanti, di esplorare l'inesplorato. Ecco, in questa pièce teatrale si fa anche questo. È inutile mettere la testa sotto la sabbia, i generi sessuali esistono, e sono più di due. E non sono “nuovi”, non ci si sveglia un giorno dicendo “mmm... oggi mi invento un nuovo genere sessuale!”. Ma in Italia sembra restare (spesso) indietro e di restare molto sorpresi quando qualche cosa esula dall'ordinario. Si è gridato, anche in questo caso, a paure di emulazioni e condizionamento. Ma se a me piace la cioccolata, e non sono interessata alla crema, vedere uno spettacolo non mi farà cambiare idea. Non è così semplice ok, e sbaglio: qui ho parlato di gusti; ma dovrei parlare di essere. Se sono una donna, e mi ci sento, lo sono, mi amo, mi vivo, vedere uno spettacolo che tratta di generi sessuali, anche diverso dal mio, di esperienze differenti, non mi farà certo cambiare.

O chi critica tanto ci crede così suscettibili, impressionabili, delicati come carta velina, (o così condizionabili); o ha paura del “nuovo” (che nuovo non è) e del “diverso” (diverso da chi?)? Siamo tutti sul solito mondo, un mondo globalizzato, ed abbiamo il dovere di essere al corrente di ciò che esiste e anche di ciò che è differente da noi. Per coltivare apertura  mentale, libertà, comprensione, rispetto, empatia, tolleranza.

Fa' fafine inoltre va contro gli stereotipi e al bullismo che ne deriva, generato e nutrito da ciò che non si conosce, che spaventa, una sorta di attacco-per-difendermi. Nel suo piccolo pur non avendone le pretese e magari senza rendersene conto, fa una piccola crociata contro tali bassezze. Senza “lotte” culturali, tante battaglie fatte anche nel passato avrebbero dato esiti diversi. Una storia, quella di Alex (nome anglosassone usato sia per maschi sia per femmine), che mostra che esistono altri generi e dietro ai generi ci sono le persone, persone che hanno una voce e possono dire “ecco, ci siamo anche noi”, “ecco esistiamo anche noi”, tutto qui, sappiatelo.

Una pièce che semplicemente è una storia d'amore, verso se stessi, tra genitori e figli, tra un uomo e una donna, un ragazzo/a e un ragazzo/a, a senso unico perché non ricambiato; ma che sempre amore è.


Fa’ afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro
CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia e Teatro Biondo Palermo col patrocinio di Amnesty International.
Testo e regia di Giuliano Scarpinato, con Michele Degirolamo, attori in video Gioia Salvatori e Giuliano Scarpinato.

 

 

Eugenia La Vita - ERBA magazine

Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 27/2/2017

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