Non ricordo nemmeno come ti ho scoperto, mi sembra che un giorno 'spippolando' su Facebook i miei occhi hanno incrociato una tua opera e ne sono stata subito fortemente attratta, quasi un richiamo, perché ho trovato grandissime analogie con le idee di base dei miei disegni. E oggi, andando a rovistare tra le tue foto meno recenti, ho avuto questa conferma. E mi piace questa cosa… conoscere prima le opere di un’artista e poi la persona che vi è dietro.
In effetti di te in quanto artista conosco ben poco… Raccontaci un po’ qual è stato il tuo percorso. Da quando hai intrapreso la strada artistica e l’hai fatta divenire una professione? E se c’è stato un evento, un momento, una persona o uno stato d’animo che ti ha spinto a percorrere questa strada…
L’arte in sé mi ha sempre incuriosito e ad oggi non è la mia professione, ma una genuina ‘ossessione’. Il mio è un percorso completamente da autodidatta che parte in primis dalla scrittura di piccoli pensieri e poesie in età adolescenziale, passando successivamente alla fotografia (cosa che ancora oggi mi affascina enormemente), per poi approdare alla pittura e all’illustrazione. Di base sono un persona malinconica, anche se non lo do a vedere, e questo ha aiutato molto il mio percorso creativo, nel senso che ad un certo punto della mia vita ho sentito quasi il bisogno di dover comunicare (che sia comprensibile o meno) ciò che ho dentro. Attualmente non è la mia professione perché, come dicevo prima, lo faccio prima di tutto per me stesso.
OSSO, l’osso è il perno portante del corpo umano, l’intelaiatura della nostra vita. Hai scelto questo nome d’arte per questo motivo o c’è un’altra spiegazione che vuoi raccontarci?
Inizialmente firmavo i miei lavori con “DADA” perché ero rimasto molto colpito dal movimento dadaista e da tutto ciò che lo caratterizzava, poi ho sentito l’esigenza di trovare un nome che fosse più mio, più personale. ‘OSSO’ nasce un po’ per gioco e un po’ per sfida. Mi spiego: per gioco perché mi piaceva molto il suono della parola stessa. Per sfida perche sono arrivato a un punto della mia vita in cui reputo l’aspetto esteriore qualcosa di assolutamente secondario, a volte anche inutile perché, sotto sotto, siamo fatti tutti di pelle e ossa. OSSO è quella parte di me che non ha paura di farsi vedere, è la metà più coraggiosa. È quella cosa che si accetta così com’è.
Spesso nei tuoi disegni ti piace scomporre il corpo umano, isolare le parti nevralgiche che lo compongono. È un modo per porre l’attenzione sui singoli elementi, dando loro importanza di volta in volta, e per ricordarci che alla fine il TUTTO è composto dalle SINGOLE PARTI? O dietro questa ‘scomposizione’ c’è altro?
Diciamo che è un po’ tutto quello che mi hai chiesto. Cioè cerco di creare qualcosa che a prima vista possa sembrare confuso o poco chiaro, ma dove, se lo si osserva piano piano, pezzo per pezzo, si possono trovare parecchie cose diverse, tra cui un corpo, un seno, un braccio o un vaso e così via. Insomma, come dicevo prima, è una specie di sfida a chi è abituato a giudicare solo dall’apparenza e questa è anche una critica a me stesso; spesso ho giudicato qualcosa senza averlo realmente osservato bene. Allo stesso tempo però è anche un monito per ricordare che appunto, sotto quella maschera che siamo quasi costretti a portare, siamo tutti uguali.
Nei tuo intrecci ‘bnw’ e multicolor o nelle opere dove metti in evidenza dei singoli elementi giochi molto sull’assurdo e l’inverosimile. Donne con teste-occhio, uomini con mani o piedi al posto del busto e del volto, braccia che diventano seni femminili o parti intime maschili. Che significato hanno questi inverosimili collage? Utilizzi l’assurdo come metodo per porre delle domande alle persone che vedranno le tue opere e per far arrivare in maniera più immediata l’idea ed il pensiero che avevi in mente?
Cerco di giocare sempre con le forme, per creare qualcosa che magari nella realtà non c’è. Non amo particolarmente il realistico, quindi tendo ad esaltare quello che la mia fantasia crea nei miei pensieri. Il punto è far osservare con attenzione ogni singolo elemento che compone i miei lavori, solo così puoi capire il quadro generale dell’opera. Perché, come dicevo prima, in ogni punto c’è qualcosa che magari un attimo prima non avevi visto e che, quindi, sei costretto a osservare con maggiore attenzione. È un po’ come se stessi giocando a nascondino.
Gli elementi che più ritornano nei tuoi disegni sono le mani, talvolta spezzate in due, talvolta contenitori, ma il perno di tutte le tue opere sono sicuramente gli occhi e la bocca carnosa, divenuta un po’ il tuo ‘marchio di fabbrica’. Che importanza hanno per te queste parti del corpo?
Hanno molta importanza perché dicono molto di una persona. Sono più propenso al linguaggio del corpo che a quello verbale. Il corpo non mente quasi mai, quindi cerco di valorizzarlo il più possibile mantenendo però sempre il mio stile.
Tra le tue opere emerge la passione anche per la fotografia e per il collage. Mi hanno incuriosito molto i tuoi ultimi lavori dove, partendo da immagini di quadri, fotografie o sculture famose, sei intervenuto sopra ‘oscurando’ con il tuo disegno multicolor alcune parti, sovrapponendo alle immagini alcuni elementi tipici della tua arte o creando degli inserti disegnati all’interno dell’opera originale. Ha un significato questo gioco di copertura e di ‘sovversione’ delle opere classiche? Qual è il messaggio che vuoi farci arrivare?
Chi segue il mio lavoro, la mia ricerca, sa che amo fare più cose. Amo passare dalla pittura al disegno, dal disegno ai collage e così via e non ho nessuna intenzione di fare sempre la stessa cosa. Per me giocare con i grandi classici è solo divertimento. Serve per non prendermi mai troppo sul serio. Ogni volta che modifico un Botticelli o un Parmigianino mi domando sempre: “chissà cosa stanno pensando in questo momento?!?!”. Ma è anche un apprezzamento per opere che superano il tempo e che hanno un valore emozionale che non ha prezzo. È come se ogni volta li riportassi in vita, lì seduti accanto a me, a guardarmi con gli occhi del disappunto mentre storpio i loro capolavori. E questo mi fa sorridere.
La tua arte è mai scesa in strada? Che forza comunicativa e d’inchiesta può avere la street art in ogni sua forma al giorno d’oggi?
Mi sono avvicinato alla street art con molta curiosità, però non mi reputo uno street artist. Ho partecipato a Pinacci Nostri tramite Lello Melchionda e Maupal e quella è stata la mia prima esperienza per strada. Poi, sempre con Maupal, ho partecipato a Luci sul Lavoro a Montepulciano insieme a Mauro Sgarbi e Beetroot e ho capito che la vera essenza della street art è il confronto. Confronto con gli altri artisti, ma soprattutto con tutte quelle persone che passano e si fermano anche solo a guardare quello che stai facendo e nel migliore dei casi a domandare. Credo che la street art sia una cosa buona e in grado di unire, una cosa importante, ma che già oggi si stia svendendo e, quando qualcosa inizia a svendersi, secondo me perde di valore. Se lo si fa solo per soldi, allora perde di significato.
Per conoscere meglio l'arte di OSSO:
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