Ifigenia, Liberata al Fabbricone

Quando tra gli applausi dici “grazie!”


Ifigenia Liberata al Fabbricone
 

Sì, perché questo è teatro ad un altro livello. É bello, buono e giusto. Ironia a parte, è teatro bravo. Bravo il regista e la drammaturga, gli attori, la scena, i costumi, le musiche e il resto. Ma sopratutto alla fine ti ritrovi tra le labbra la parola “grazie”, mentre batti le mani. Perchè ti fa vedere altro, oltre, e dentro sopratutto: il dentro che fuoriesce.

Non è uno spettacolo facile. Né per la messa in scena né per il tema. É necessario? É utile? É un'indagine certamente, tanti stimoli, tantissimi riferimenti, pone domande, forse apre a qualche risposta, sicuramente fa pensare, sconvolge, replica la realtà abbracciata al mito, al sacro, alla nostra cultura, alla storia. Che si ripete, inesauribile, senza fine.

Il tema è la Violenza. Come trovare (una-la) soluzione? Nel mito, ma non solo in quello, gli uomini si dedicano al sacrificio. Stringono un cerchio attorno alla preda, vittima, al capro espiatorio, che espia appunto con la sua morte i peccati dei carnefici, di chi rimane. L'uomo non trova altro modo per estirparla, in nome di un Dio-Dea, di un genitore da vendicare, di un'onta da punire, di un territorio da difendere. É necessario, fanno intendere, non si trovano altre opzioni. Ma c'è sempre un'altra scelta invece; se solo si trovasse la Compassione: una parola, un sentimento, più audace e coraggioso di Pace, più di Speranza, persino di Amore. Ma va accettata, accolta, per esser rivelata, riattivata.

 
Ifigenia Liberata al Fabbricone - foto Masiar Paquali
 

Lo spettacolo si apre già aperto, non c'è sipario, non c'è distanza tra pubblico e attori, che impersonano ora i personaggi ora sé stessi, ma è un trucco: è metateatro, tutto è finzione comunque, il mito rappresentato e la realtà che si auto-recita. Una danza. Il tutto comincia con il cadavere di un ominide: il ventre squartato e le viscere che fuoriescono, srotolandosi sul pavimento. É il fil rouge di tutta la pièce: il male, la violenza, che dal di dentro si riversa al di fuori, trova uscita, infestando l'esterno, noi, la realtà, lo spettacolo, gli attori, contagiando ogni cosa. É un filo rosso in tutti i sensi dunque, metaforici e letterari, visivi, associativi: filo, viscera, gomitolo, il labirinto, Arianna, Ifigenia...

I riferimenti a cui l'opera attinge sono vari e vasti da Edipo a Isaia, Amleto e Odissea 2001, Caino, Abele e l'agnello, e sopratutto Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Platone, René Girard, Fornari, Nietzsche, Antico e Nuovo Testamento: il tutto mescolato, il tutto “discontinuo”, “materia complessa” che fa da perno a Ifigeniain Aulide del tragediografo greco Euripide.

“Ifigenia, Liberata”
Progetto e drammaturgia di Angela Demattè e Carmelo Rifici, produzione Lugano In Scena
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa e Azimut
in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi, Theater Chur
con il sostegno di Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura

 
Ifigenia Liberata al Fabbricone - foto Masiar PaqualiIfigenia Liberata al Fabbricone - foto Masiar Paquali
 

Eugenia La Vita - ERBA magazine

Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 27/3/2018

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