Sì, perché questo è teatro ad un altro livello. É bello, buono e giusto. Ironia a parte, è teatro bravo. Bravo il regista e la drammaturga, gli attori, la scena, i costumi, le musiche e il resto. Ma sopratutto alla fine ti ritrovi tra le labbra la parola “grazie”, mentre batti le mani. Perchè ti fa vedere altro, oltre, e dentro sopratutto: il dentro che fuoriesce.
Non è uno spettacolo facile. Né per la messa in scena né per il tema. É necessario? É utile? É un'indagine certamente, tanti stimoli, tantissimi riferimenti, pone domande, forse apre a qualche risposta, sicuramente fa pensare, sconvolge, replica la realtà abbracciata al mito, al sacro, alla nostra cultura, alla storia. Che si ripete, inesauribile, senza fine.
Il tema è la Violenza. Come trovare (una-la) soluzione? Nel mito, ma non solo in quello, gli uomini si dedicano al sacrificio. Stringono un cerchio attorno alla preda, vittima, al capro espiatorio, che espia appunto con la sua morte i peccati dei carnefici, di chi rimane. L'uomo non trova altro modo per estirparla, in nome di un Dio-Dea, di un genitore da vendicare, di un'onta da punire, di un territorio da difendere. É necessario, fanno intendere, non si trovano altre opzioni. Ma c'è sempre un'altra scelta invece; se solo si trovasse la Compassione: una parola, un sentimento, più audace e coraggioso di Pace, più di Speranza, persino di Amore. Ma va accettata, accolta, per esser rivelata, riattivata.
Lo spettacolo si apre già aperto, non c'è sipario, non c'è distanza tra pubblico e attori, che impersonano ora i personaggi ora sé stessi, ma è un trucco: è metateatro, tutto è finzione comunque, il mito rappresentato e la realtà che si auto-recita. Una danza. Il tutto comincia con il cadavere di un ominide: il ventre squartato e le viscere che fuoriescono, srotolandosi sul pavimento. É il fil rouge di tutta la pièce: il male, la violenza, che dal di dentro si riversa al di fuori, trova uscita, infestando l'esterno, noi, la realtà, lo spettacolo, gli attori, contagiando ogni cosa. É un filo rosso in tutti i sensi dunque, metaforici e letterari, visivi, associativi: filo, viscera, gomitolo, il labirinto, Arianna, Ifigenia...
I riferimenti a cui l'opera attinge sono vari e vasti da Edipo a Isaia, Amleto e Odissea 2001, Caino, Abele e l'agnello, e sopratutto Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Platone, René Girard, Fornari, Nietzsche, Antico e Nuovo Testamento: il tutto mescolato, il tutto “discontinuo”, “materia complessa” che fa da perno a Ifigeniain Aulide del tragediografo greco Euripide.
“Ifigenia, Liberata”
Progetto e drammaturgia di Angela Demattè e Carmelo Rifici, produzione Lugano In Scena
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa e Azimut
in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi, Theater Chur
con il sostegno di Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura
Eugenia La Vita - ERBA magazine
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