I Frank Sinutre sono un duo musicale di Mantova che utilizzano nei live strumenti elettronici autocostruiti, come il reactaBOX (un controller midi ispirato al celebre reactable) e drummaBOX (una drum machine acustica basata su Arduino), oltre che strumenti tradizionali (chitarra, synth,vocoder, etc).
Dopo i primi spunti creativi e sperimentali dai reading, alle jam, il loro primo vero progetto serio nasce nel 2012, quando sono stati incaricati dalla regista Anna Volpi e l'autrice Alessia Colognesi di scrivere la colonna sonora per il loro spettacolo teatrale "La Colpa della Leonessa" che fu inserito nel “Festival Internacional de Teatro Social” di Valencia in Spagna.
Da questo primo lavoro è nato un primo cd autoprodotto, registrato, prodotto, mixato e masterizzato presso gli studi della Saletta di Sermide.
Il loro secondo disco "Musique Pour Les Poissons" è uscito nel 2014 per l'etichetta di New York System Recordings in concomitanza con l’uscita del libro di Michele K. Menghinez "Racconti per pesci del mare d'aria" che ha accompagnato l'uscita del disco.
Il 19 maggio esce il loro terzo lavoro “The Boy Who Believed He Could Fly” per l'etichetta New Model Label, anticipato dalla single track “Driving thru a City by Night".
La redazione di Erba Magazine ha avuto l'opportunità di intervistarli, ecco cosa ci hanno detto in merito al loro ultimo disco e, più in generale, riguardo il loro progetto musicale.
Il vostro percorso musicale inizia nel 2011. Come
vi è venuta l'idea di usare nei vostri lavori, strumenti elettronici
"homemade"?
L'idea di utilizzare dal vivo questi strumenti elettronici autocostruiti, come
il reactaBOX (ispirato al celebre reactable consiste in un controller midi a
forma di cubo luminoso, con all’interno una webcam ad infrarossi, che funziona
leggendo delle immagini su dei cubetti che vengono appoggiati e mossi sul cubo)
e la drummaBOX (una drum machine acustica basata su Arduino), nasce
dall'inventiva di Isacco Pavanelli, quello bravo di noi due (l'ingegnere), che
spesso tristemente constatava come la critica principale che venisse mossa alla
musica elettronica fosse quella di essere troppo poco "fisica". Il
reactabox invece ci offre grandi possibilità di improvvisare e di variare anche
nel live quello che stiamo suonando, ovviamente essendo più "fisica"
è anche molto più soggetta ad errori ed imperfezioni. Ma questa è cosa buona.
Nel 2017 poi abbiamo raggiunto l'obiettivo nel crowd funding per la
realizzazione del terzo reactaBOX di Isi Pavanelli (nella campagna Reactabox-3
a new midi experience).
La musica
che componete potrebbe essere, per il profani del genere, difficilmente
fruibile, considerando che non componete brani in cui c'è un testo vero e
proprio. In che modo siete riusciti in questi anni ad avvicinare le persone al
vostro progetto?
Le persone che si sono
avvicinate a questo progetto erano tutte persone estremamente curiose, capita
quasi regolarmente che finito il live qualcuno si avvicini per fare domande e
quasi sempre viene anche fatto provare qualcosa all'avventore di turno. Come
una specie di giostra. Spesso ci si trova a che fare con veri e propri "addetti ai lavori" e
in questo caso nascono scambi e talvolta collaborazioni. Probabilmente è il
pubblico più appassionato che si possa avere.
A maggio 2017 è uscito il vostro ultimo disco. In
cosa si distacca dai vostri precedenti lavori?
Come per gli altri dischi
abbiamo deciso di registrare tutto in casa, cioè nella casa di campagna dove
proviamo, sinceramente si hanno molte più possibilità di ritornare sui pezzi e
aggiustarli anche a distanza di tempo. Ovviamente questo comporta il dover
passare più tempo a lavorare bene sui suoni.Rispetto ai dischi passati (soprattutto
al secondo “Musique pour les Poissons” in cui ogni traccia nasceva da una
piccola jam di partenza che spesso già suonavamo nei live) si è deciso di
elaborare canzoni partendo da zero, senza averle suonate prima in studio o in
qualche live. La sostanziale differenza è che “Musique” lo suonavamo già dal
vivo molto prima che uscisse il release digitale e diciamo che i pezzi si sono
costruiti strada facendo a forza di live set, mentre per “The Boy Who Believed
He Could Fly, tutto il processo compositivo è stato strutturato interamente in
studio. Un'altra differenza sostanziale è che rispetto agli altri due dischi è
più cantato “The Boy”, va da sé che evidenzia anche una ricerca più pronunciata
per quanto riguarda l'utilizzo dei vocoder.
Parlando sempre di quest'ultimo disco pensiamo che sia
senz'altro sensazionale far arrivare un messaggio a più persone possibili,
spiegando concetti universali, magari riuscendo a parlare di ciò che non si è
visto o vissuto, ma non credo sia proprio il nostro caso... Abbiamo preferito
scrivere qualcosa che conosciamo bene e che nel tempo abbiamo seguito e
imparato ad amare; un po' come un diario, un po' come quando ci si affeziona.
Forse è un po' ardito considerarlo un concept, ma nasce grossomodo
dall'esigenza di provare a spiegare qualcosa di vicino, da varie prospettive.
Il disco racconta la storia di un nostro grande amico, una persona eccezionale,
come ne esistono tante al mondo speriamo, ma con la differenza che la
conosciamo bene e sappiamo moltissime storie della sua storia, un po' come se
fosse parte della nostra vita stessa. Questa persona è un eterno fanciullo ed è
per questo che è impossibile per noi non vederlo come un eroe, come un esempio,
come qualcosa di preziosissimo da conservare in una teca antiproiettile: il suo
ombrello è la fantasia che lo porta a planare leggero sopra alle varie
schifezze del nostro tempo moderno sempre più infarcito di pose, status e
discorsi sempre più tristi di noi adulti sui bolli auto da pagare o sulle
domiciliazioni delle bollette del gas. A livello musicale il disco è raccordato
da tre momenti che fanno un po' il punto della situazione, “Credeva di Volare”
è un po' il tentativo di rappresentazione del nostro amico eroe: una nascita,
una vita e una morte che però non significa per forza fine di tutto, ma che
costituisce più un fade out.
Molti dei vostri videoclip sono realizzati con la
tecnica cinematografica della stop motion. Pensate che in questo modo il
significato dei vostri pezzi sappia eprimersi meglio, oppure è soltanto una
scelta dettata da un gusto personale?
La verità è che fin dagli
esordi noi non siamo mai stati in 2, ma in 2 e mezzo: il mezzo è Giovanni
Tutti, videomaker, che da sempre ha collaborato con noi nei visual durante i
live e che realizza i nostri video. E la cifra di Giovanni risiedeva e risiede
un po' nello stop motion: a fianco alla nostra sala prove c'è un'altra stanza
più piccola in cui sistemiamo su dei tavoli tutte le scenografie, e i vari
soggetti da animare e poi una foto alla volta, in sei mesi, si confeziona un
bel clip. La cosa bella è che in questa stanza spesso ci vengono a trovare
amici che si mettono a creare cose col pongo o col lego e che puntualmente
finiscono per dare il loro contributo alla cosa, in tutti i modi che si possono
immaginare. E' una sorta di gioco organizzato...
C'è qualche gruppo o autore di musica elettronica a
cui vi ispirate?
Abbiamo un piccolo motto
che ripetiamo con fermezza assoluta: “Odio tutti i vecchi che snobbano la
musica dei giovani e odio tutti i giovani che snobbano la musica dei vecchi!”;
abbiamo molti artisti di riferimento vecchi e nuovi anche se forse non ha molto
senso parlare di vecchio e nuovo perchè la musica è un po' come un tapis
roulant in fondo, dove tutto torna e scompare sempre.
Facendo dei nomi grossi e più o meno del genere e partendo un po' da lontano,
diremmo Brian Eno, John Cage, i Pink Floyd; poi cose più recenti Air, Thievery
Corporation, Radiohead, Massive Attack, Duft Punk; e infine molte cose degli
utlimi 10 anni: Moderat, Bonobo, Nicolas Jaar, Lcd Soundsystem.
Resta poi comunque molto interessante per noi andare ad ascoltare cose che non
appartengono propriamente al genere di riferimento; diventa importante proprio
per mescolare e rielaborare in modo personale la musica. Non c'è da aspettarsi
che tutti concordino, ma Leone di Lernia per noi è stato comunque un grande
artista, a suo modo, ma grande. Diciamo questo a titolo esemplificativo, giusto
per ribadire che la musica bisogna provare ad ascoltarla e mangiarla tutta
quanta.
Avete suonato molto anche in Europa. Cambia la
fruizione musicale del genere dell'elettronica rispetto all'Italia?
Sì, cambia, ha delle
variazioni anche regionali, talvolta anche da città a città. Fare dei mini tour
in Svizzera e in Slovenia ci ha dato la possibilità di vedere come le persone
fruiscono e godono del live. In Slovenia ogni volta ci si trova davanti a
persone molto coinvolte, di più rispetto alla media italiana. Anche se va
ricordato che in Italia esistono posti meravigliosi dove suonare, gestiti da persone
meravigliose che danno il loro tempo e la loro energia per far sì che ci sia un
live nel proprio paese, e questa è comunque sempre una gran cosa.
IN EVIDENZA
Per conoscere meglio i Frank Sinutre:
Profilo Facebook Frank Sinutre
Profilo Instagram frank.sinutre.music
Eleonora Giovannini - ERBA magazine
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