Eccoci di nuovo, Sergio. Stavolta ho portato anche Leo, ci sediamo qui a lato, tu fai pure il tuo.
Sergio Caputo è uno di quegli artisti che se li lasci fare, in un modo o nell’altro, ti sanno riempire piacevolmente il tempo che gli metti a disposizione. Una canzone, un disco, una playlist. Magari viaggiando, in autostrada. Non intendo dire che vederlo dal vivo è un po’ come incontrare un amico, però mi riporta ad atmosfere familiari e ci sto bene qua a guardarlo e ad ascoltarlo.
Recentemente ha pubblicato “Oggetti smarriti”, un’occasione per recuperare brani persi o galleggianti nel tempo e finalmente è tornato da queste parti.
Si comincia con “C’est moi l'Amour”, l’inizio di una rincorsa, anzi no, la tensione di una fionda per la durata di 5 brani fino alla recentissima “Scrivimi scrivimi”. Ecco, l’elastico della fionda viene liberato sì, ma sprigiona la potenza di quell’abbraccio crooner che è “Spicchio di luna” e ti godi la notte, la location mozzafiato, il fresco e cerchi la luna da qualche parte quando “Mercy bocù” ti sorprende con quella strana idea di comprensione che cerchi da un gruppo di estranei dentro un whisky bar. Insomma, il colpo è partito, quindi uno dietro l’altro arrivano “Un sabato italiano”, “L’astronave che arriva”, “Italiani mambo” e “Il Garibaldi innamorato”.
Sul palco, insieme al chitarrista Caputo, ci sono Alessandro Marzi alla batteria e Fabiola Torresi al basso, che propone anche la sua energica versione di “Consider Me Gone” di Sting, incuriosendomi parecchio.
Insomma, il trio ha un bel tiro, la Villa una gran bella scena, il pubblico è divertito e il concerto si conclude con un ripescaggio folk degli esordi (“Libertà dove sei”) e “Mettimi giù”, il miglior finale possibile.
Grazie Sergio, non facciamo che non ci si rivede per altri quattro o cinque anni!
Alessio Cerasani - ERBA magazine
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