La nuova stagione cinematografica riapre i battenti e lo fa alla grande con il film diretto da Alessio Cremonini, "Sulla mia pelle", distribuito da Netflix e acclamato dal pubblico del Festival del cinema di Venezia.
La pellicola racconta l'ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, noto alla cronaca per essere deceduto in carcere pochi giorni dopo essere stato arrestato, con l'accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti. Ma le percosse e i lividi trovati sul suo corpo ci mostrano chiaramente che non si è trattato di una morte per cause naturali o improvvise, si tratta piuttosto di un decesso avvenuto in seguito a botte e percosse messe in atto da chi avrebbe dovuto occuparsi sì di fare giustizia, ma senza cedere ad atti violenti.
E allora è qui che la storia si racconta, in quelle quattro mura di carcere che diventano il crocevia infernale verso la fine di un uomo, che certo aveva sbagliato, ma che non meritava che qualcuno decidesse di farlo morire. Il film si fa portavoce di un racconto triste, crudo, vero dove a essere protagoniste sono le sofferenze di un ragazzo di trent'anni paralizzato fisicamente e psicologicamente; incapace di rivelare la verità per paura di non essere ascoltato, capito. Anche, forse, per paura che determinate accuse avrebbero potuto nuovamente ripercuotersi su di lui sotto forma di altri pestaggi.
Vediamo l'incuria dei medici, troppo impegnati per prestare aiuto a Stefano, poco empatici nel convincerlo a lasciarsi curare. Non sappiamo perché quel ragazzo abbia rifiutato le cure, ma una domanda sorge spontanea guardando questo film: con quale coraggio dei dottori che sapevano stesse morendo, abbiano acconsentito (senza sforzarsi di fargli cambiare idea) a fargli rifiutare le cure?
A fronte di tanti interrogativi e dolore, "Sulla mia pelle" merita di essere visto perché rende giustizia e racconta una storia che non pretende di schierarsi ma, esponendo i fatti con oggettività, ci fa capire chiaramente cosa sia successo in quel penitenziario. Un film che va visto per insegnarci a non cedere alla violenza facile, specie se recata nei confronti di soggetti fragili come persone tossicodipendenti che spesso non hanno la forza e volontà di reagire. Il film è indubbiamente triste, sì, guardandolo vi sembrerà di morire un poco alla volta insieme a Stefano, ma rimane un racconto delicato, in cui i fatti sono narrati nel totale rispetto di chi, in una sera come tante altre, si è ritrovato a essere una vittima sacrificale. Nessuna scena di violenza, bastano i lividi violacei di Stefano e il suo sguardo a restituirci tutte le sofferenze che ha subìto.
Magistrale Alessandro Borghi, che con la sua interpretazione ha dato a questo film un respiro più ampio, tanto che è stato messo nella lista dei 21 film candidabili ai prossimi Academy Awards come miglior film straniero.
Se ve lo siete perso nelle sale o non riuscite ad andare a vederlo, lo trovate disponibile su Netflix.
Eleonora Giovannini - ERBA magazine
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