Febbraio è (quasi) sempre stato il mese del festival di Sanremo e io volevo cogliere l’occasione per scrivere un pezzo sulla mia canzone sanremese preferita di sempre: “Gaetano” di Rudy Marra (1991). Con quel “Come eravamo stupidi Gaetano / Ci facevamo male e poi ridevamo / Com’eravamo ingenui, Gaetano / Noi liberi sino alla fine e poi ci legavamo”, mi ritrovo ogni volta a pensare di ricordare milioni di cose e perdermi dentro quattro mura. Poi, terminato il “viaggio”, sono a fare i conti anche col tempo finito per questo articolo e con l’ennesimo “domani lo scrivo”.
La seconda volta che mi sono perso nello scrivere è stata per il titolo. Ho pensato direttamente a “Gaetano” finendo ad immaginare la formula: “Sanremo + Gaetano = Gianna”. Di colpo Gaetano è diventato Rino e il festival quello del ’78. Anni bui, quelli, per la kermesse che alle perse concedeva/subiva apparizioni assurde, stralunate e talvolta geniali.
Ah se solo il festival dell’anno dopo (quarant’anni fa), avesse concesso maggiore visibilità ad Enzo Carella, che arrivò secondo con “Barbara” pubblicando un disco che probabilmente non è un capolavoro, ma resta comunque notevole, oggi forse avrei una versione decente e non scricchiolante di un album introvabile: “Barbara e altri Carella”. Se è vero che negli anni settanta si rischiava di più in ambito discografico, è vero anche che le ristampe (e quindi un salvataggio/ricordo decente), sono solo per la gloria di chi in una qualche maniera ce l’ha fatta davvero.
Peccato, perché nel disco ci sono i testi notevoli di Pasquale Panella, autore per Battisti nel periodo post-Mogol, così come la cura musicale dei Goblin (sì, quelli di “Profondo Rosso”), in brani come “Foto” e “Amara”. Ne valeva la pena - mannaggia (ehi ho scritto “mannaggia”!).
Alessio Cerasani - ERBA magazine
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