“Biancaneve, la vera storia”


foto di scena di Tea Primiterra - fonte Ufficio Stampa
 

C'era una volta una principessa e una matrigna vestite di poliestere cangiante che mimano scene da cartoon; pensi a uno scherzo. E infatti è uno scherzo. Lo spettacolo “Biancaneve, la vera storia” di CREST Cooperativa Teatrale andato in scena al Metastasio lo scorso sabato 16 novembre ha cominciato così la celebre fiaba, per poi raddrizzarsi e farci sapere che così è come Walt Disney l'ha resa indimenticabile sugli schermi che ancora oggi facciamo vedere ai nostri figli.

La vera storia però narra di figure meno mitiche e quasi reali vissute in Germania, narrate dalla tradizione popolare di cui non si conoscono bene le origini, la versione più conosciuta è quella dei fratelli Grimm che la inserirono nella raccolta Kinder und Hausmärchen (Fiabe dei bambini e del focolare) nella prima edizione del 1812

La storia non prevede edulcorazioni e nello spettacolo viene proprio detto chiaro e tondo: basta con questa abitudine comune di allontanare i bambini dalla verità, di tenerli al riparo dalle inquietudini e paure che una favola porta in sé, altrimenti non solo viene snaturata nel suo intento, ma i bambini non potranno 'in sicurezza' allenarsi a divenire gli adulti del domani. Se gli eviteremo sempre la parte buia delle storie (e non mi riferisco solo alle fiabe), non gli infonderemo le armi necessarie per combattere le sfide del mondo e quelle che potrebbero nasce in loro stessi. Gli precluderemmo la possibilità di confrontarsi con quella parte di loro più nascosta e così di non accedere alle loro risorse e capacità interiori.

Andare a vedere vere fiabe in scena significa anche questo: non solo un pomeriggio culturale, ma riscoprire vecchi insegnamenti. Le fiabe non nacquero per divertire ma furono usate come moniti e morali, piene di simboli e per questo avvolte di magia ai nostri occhi e orecchie disallenati. Prima la fiaba, era un modo per raccontare la vita, i valori comuni, la crescita di un individuo e proprio di crescita tratta Biancaneve, crescita da bambina a donna ricca di elementi del risveglio e fioritura naturale.

La nascita di Biancaneve è ispirata dalla natura e dai suoi colori (e alla natura dell'essere umano): il candido bianco come la neve e come la luna; il rosso, la vita che scorre, il sangue (lei nasce da esso, dalle gocce versate dalla madre mentre cuce e desidera una figlia); il nero come la morte in cui spesso lei si imbatte (gli improvvisi sonni-finte morti) e dei capelli come legno d'ebano (che ha in sé caratteristiche di forza, durezza, resistenza). La bambina che incontriamo sul palcoscenico non ha a che fare con una matrigna ma bensì con la madre stessa, che come vediamo bene in questo spettacolo, è preda della vanità, dell'egocentrismo ed egoismo, una parte buia e pericolosa dell'essere umano. E oggi esiste forte questo culto del narcisismo, tanto forte da farci dimenticare la bellezza interiore, nostra e di chi ci sta accanto. Mi viene in mente la vecchia e triste canzone “Profumi e balocchi”: la conoscete? 

Una madre dunque che non vuol invecchiare e lasciare campo e spazio alla figlia, che fa di tutto per ostacolare il flusso della vita, è l'inverno che si contrappone alla primavera alla quale poi deve cedere. Nella storia si cerca di fermare la ciclicità naturale (uccidere la fanciulla) ma sotto la neve nel terreno, il germoglio r-esiste e tornerà a sbocciare: con la rottura della bara di cristallo (simile al ghiaccio che ricopre la terra solo apparentemente morta) e il bacio del principe (l'energia maschile unita a quella femminile), Biancaneve-Primavera può risvegliarsi e rinascere come donna (non più infante).

In scena, a cavallo tra noi e i personaggi femminili, il più piccolo dei sette nani ormai cresciuto che funge da testimone e da narratore di questa vicenda (a volte con digressioni non necessarie che allontanano lo spettatore dalla storia, altre volte con soluzioni divertenti). Se qualcuno si chiedesse perché proprio sette erano i nani, basta ricordare le parole di Ippocrate: “Il sette, per le sue virtù celate, mantiene nell’essere tutte le cose; esso è dispensatore di vita, di movimento ed è determinante nell’influenzare gli esseri celesti”.

É un numero spirituale, magico, che ritroviamo in innumerevoli fiabe (i 7 capretti, 7 le leghe del gatto con gli stivali, 7 cigni selvatici, ecc), numero dell'universo in movimento, di cambiamento, evoluzione, difatti è anche il numero di un ciclo compiuto, del perfezionamento della natura umana. I nani sono fortemente legati alla natura, vivono nel sottosuolo, sono abili minatori, estrapolano e trasformano i metalli: nella mitologia nordica erano coloro che potevano forgiare armi potenti e magiche. Se Biancaneve vive sopra così i nani vivono sotto, dove c’è un'altra vita fatta di insetti, semi, minerali, una vita sommersa che tornerà in superficie con l’arrivo della primavera: al momento giusto cioè andare a scoprire le risorse inestimabili e preziose che ognuno di noi ha dentro, conoscerle, apprezzarle e portarle alla luce.

 

Eugenia La Vita - ERBA magazine
 
Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 21/11/2019

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