Ma chi l'ha detto che il rosa è ‘da femmine’ e il celeste ‘da maschi’?!? Nessuno. O almeno la pubblicità, il marketing: negli anni ’50 questa suddivisione è stata sfruttata per vendere più giocattoli.
Il rosa è stato un colore prima di tutto maschile, celebri uomini del passato amavano, non per vezzo ma per cura estetica, indossare questo colore, che essendo unione del bianco col rosso, non piaceva alle signore poiché ricordava il sangue (quello cruento della violenza, ma forse anche quello mestruale, che tuttoggi viene quasi demonizzato e non ancora accettato con naturalità, e aggiungo, amore). Ecco com’è andata.
E gli altri colori che sesso hanno? E gli elementi, gli oggetti, le persone? Davvero siamo etichettabili per il colore che indossiamo, che abbiamo?
Sabato 23 novembre è andato in scena al Teatro Fabbrichino “Il colore rosa” una produzione ALDES, in collaborazione con Ubidanza, per la regia di Aline Nari.In scena un cavaliere, una principessa e una sportiva. Oltre al mostro-tutto-rosa, che appare e scompare, a rappresentare il colore protagonista. Le tre figure e i ‘ruoli’ che interpretano all’inizio, tra danza, brevi dialoghi e narrazioni fuoricampo, sono personaggi in viaggio, alla ricerca di se stessi, della loro unicità: si trasformano, cambiano, giocano con costumi e identità.
Uno spettacolo che porta il focus su alcuni stereotipi di cui ancora oggi siamo preda. Gli stereotipi di genere indicano una visione semplificata e rigida che attribuisce a femmine e maschi ruoli determinati e limitati dal loro sesso. Scrive Irene Biemmi docente di Pedagogia sociale: “Gli stereotipi e le categorizzazioni di genere sono dannosi e limitanti perché confinano le possibilità di scelta di bambine e bambini entro reparti predefiniti, limitando passioni e talenti individuali. Lavorare sull'immaginario è un'operazione estremamente utile per smontare la rigidità dei binari di genere, allargando il campo di azione e di pensabilità delle bambine e dei bambini e offrendo loro la possibilità di immaginarsi in una molteplicità di vesti e ruoli differenti, per esprimere al meglio se stessi e cercare di individuare la propria strada”. Dopo queste parole e riflettendoci su, come possiamo ancora far finta di nulla e imprigionare i nostri figli in gabbie di genere?
Le storie narrate a bambini e ragazzi, il linguaggio, gli aggettivi che si usiamo a seconda del sesso, hanno una grande influenza sullo sviluppo della loro identità; anche i libri, i film, i cartoni animati che guardano, possono fornire sia modelli semplificati-stereotipati sia modelli alternativi (o dunque più reali: infatti sfido ogni donna a dire che si veste di rosa, con collane di perle e grembiulini con le ruches, eppure è ciò che spesso si vede in libri e tv).
Oltre a questo spettacolo, che ha il mio applauso anche solo per la tematica che porta in scena, si dovrebbe dare e richiedere a maggior voce, progetti improntati alla parità di genere, soprattutto nelle scuole: scardinando pregiudizi e stereotipi, si può prevenire la discriminazione, trasmettendo l’uguaglianza delle persone e il bello della diversità sin da giovanissimi.
Magari a braccetto con la creatività: perché è attraverso l'educazione, l’arte e le storie - storie particolari, coraggiose e fuori dai soliti schemi - che è possibile prevenire anche la violenza di genere ed eliminare alla radice gli ostacoli culturali che la legittimano e che rendendo la discriminazione socialmente accettabile.
Eugenia La Vita - ERBA magazine
Punto Giovani Europa