Testo di Pier Paolo Pasolini
Regia di Massimo Castri
26 Novembre 2008-11-26
Prima Nazionale al Teatro Argentina di Roma
Elementare, ma chiaro: non è inusuale che l'eccesso risulti stucchevole. E Porcile di Pier Paolo Pasolini, al debutto del 26 novembre al Teatro Argentina di Roma, regia di Massimo Castri, accusa l'eccedenza. Lo spettacolo è troppo: troppo caricato, troppo lento, troppo segmentato.
Julian, figlio «né ubbidiente né disubbidiente» di una coppia della borghesia tedesca, trova nel porcile paterno un amore 'diverso' e 'non naturale' che, tuttavia, lui riconosce come scintilla di «vita pura». La passione misteriosa che segna il personaggio fin dal suo ingresso diviene simbolo del disagio di chi non si riconosce nella società coeva, e si rifugia in qualcosa di istintuale ma segreto. In questo continuo salto tra finzione e realtà Castri scorge la «metafora-travestimento della storia di Pasolini», scegliendo di sottolineare questo legame proprio insistendo sulla dimensione fiabesca e infantile della vicenda e dei personaggi. Il grande prato inclinato con gli appariscenti fiori diviene luogo delle corse di Julian e Ida, delle passeggiate del padre e della madre, delle giravolte del signor Klotz e del Signor Herdhitze, ma questa leggerezza di superficie rimane appunto tale e non riesce a incidere lì dove il testo lo pretenderebbe.
La particolarità dell'allestimento e delle scelte drammaturgiche sono attinenti ad un'interpretazione molto diversa rispetto agli adattamenti precedenti, ma c'è veramente da constatare che tanto viene perso.
Francesca Martellini - ERBA magazine
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