Intervista alla compagnia Scarti Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione

Per lo spettacolo Diario di un dolore della rassegna Ex-Temporaneo Teatro

 

In previsione dello spettacolo Diario di un doloreOfficina Giovani ha intervistato Francesco Alberici, regista della compagnia Scarti Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione.

Lo spettacolo rientra nella rassegna teatrale Ex-Temporaneo e si terrà negli spazi artistici di Officina Giovani venerdì 22 novembre 2024 alle ore 21.00.

 

È la prima volta che Scarti Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione collabora con Officina Giovani. Ci può parlare della compagnia? Di cosa vi occupate?

 
Foto mezzobusto di Francesco Alberici sul palco

Scarti Centro di Produzione si occupa di produrre e supportare il lavoro di vari artisti del panorama teatrale italiano, compreso il mio lavoro e quello della mia compagnia Frigoproduzioni. Io lavoro sia come drammaturgo, che come regista e attore: a volte ricopro tutti e tre i ruoli, come nel caso di Diario di un dolore, altre volte mi dedico soltanto a un aspetto specifico. In generale il teatro consente una certa fluidità tra i ruoli.

 
 

Lo spettacolo prende spunto e riprende il titolo da Diario di un dolore di C. S. Lewis per diventare qualcos’altro. Come nasce l’idea dello spettacolo?

 
Francesco Alberici in piedi e Astrid Casali seduta al tavolo con oggetti di scena

L’incontro con questo libro è avvenuto per caso, anni fa: l’ho visto in libreria e il titolo mi ha immediatamente parlato, a intuito mi sembrava potesse essere il titolo perfetto per il periodo che stavo vivendo in quel momento nella mia vita. Poi, leggendolo, ho scoperto un racconto profondo, la descrizione, o forse meglio la radiografia, di un’esperienza di dolore molto intima vissuta dall’autore in prima persona; ma più il testo raccontava le caratteristiche particolari di quella sofferenza, più risuonava con la mia. Lo spettacolo non è l’adattamento del libro, ma trae spunto da esso per ragionare su come si può rappresentare il dolore sulla scena.

 
 

La rappresentazione ha come protagonista Astrid Casali, che pone al centro della scena sé e il suo dolore per la morte del padre. È stato complesso trattare questa tematica così personale?

 
Primo piano di Astrid Casali che scrive con oggetti di scena

Ogni volta che si porta qualcosa di personale sulla scena le cose si complicano, in particolare quando si prova a raccontare il dolore per la perdita di una persona cara, di un padre. Non è stato un percorso facile, ma proprio gli ostacoli, le difficoltà, i ripensamenti che ci sono stati durante il cammino sono diventati l’oggetto più prezioso del nostro racconto. Questi ostacoli ci hanno permesso di non raccontare soltanto il dolore in sé ma la difficoltà a esprimerlo, che è una parte del dolore stesso.

 
 

Sul palco realtà e finzione si alternano. Predomina l’esperienza della protagonista oppure la messa in scena resta una salda componente? La rappresentazione è riuscita a filtrare il vissuto dell’attrice per consegnarlo al pubblico?

 
Astrid Casali in piedi su una sedia e Francesco Alberici seduto

Lo spettacolo che ho scritto si basa sull’esperienza reale vissuta dalla protagonista; la messa in scena teatrale opera come filtro da un lato per rendere questa esperienza 'universale', dall’altro per proteggere il dato di realtà, che rimane privato, e alterarlo leggermente. Poiché il nostro è pur sempre un lavoro sulla forma, le parole e le immagini che abbiamo scelto per raccontare questa storia hanno un peso: il risultato è necessariamente un risultato di forma, altrimenti sarebbe impossibile riprodurlo sera dopo sera.

 
 

Nelle note di regia lei parla dello spettacolo come 'un‘indagine sul funzionamento del dolore'. Perché è importante questa ricerca? Crede che sia un modo per esorcizzare il male che ognuno di noi ha dentro di sé?

 
Astrid Casali stesa sul palco in lacrime

Credo che si tenda a parlare molto più del successo e della felicità che dei fallimenti e del dolore. Eppure la sofferenza è parte della vita di chiunque, non si può fuggire dal dolore, anche perché altrimenti sarebbe impossibile provare gioia. Dunque penso che parlare del dolore abbia soprattutto un valore politico: permettere al pubblico di rispecchiarsi in un racconto di dolore significa ammettere a noi stessi che non c’è nulla di male nel viverlo.

 
 
 
 
 

 

Intervista a cura di Malaika Benedetta Sorace, volontaria in Servizio Civile a Officina Giovani.

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Ultima revisione della pagina: 12/12/2024

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