Ex-Temporaneo è una rassegna teatrale organizzata da Officina Giovani e dal Comune di Prato, arrivata alla sua sesta edizione, per dare spazio a compagnie indipendenti e ai loro innovativi spettacoli.
La rassegna ha visto sul palco tre compagnie molto diverse tra loro, Babilonia teatri, Scarti - Centro di Produzione Teatrale d'Innovazione, Uthopia - Associazione culturale di promozione sociale, portatrici di spettacoli vari, che affrontano tematiche profonde messe in scena in modo del tutto personale e caratteristico.
Con Pinocchio, Babilonia teatri e Gli amici di Luca hanno deciso di realizzare qualcosa di unico: è il coma, infatti, il tema dello spettacolo, apparentemente ostico da rappresentare e di non facile lettura. E invece gli attori, con la loro genuina professionalità, sono riusciti a intrattenere la platea gremita di spettatori grazie al continuo dialogo con il regista Enrico Castellani, componente fondamentale per la riuscita della messa in scena.
I tre protagonisti, come dei burattini, ripercorrono le loro personali esperienze e il dramma vissuto in prima persona mettendosi a nudo davanti al pubblico: la metafora scelta è quella di Pinocchio, del burattino di legno che, attraverso prove di vita complesse, arriva a perdere se stesso per poi ritrovarsi e diventare un giovane uomo in carne e ossa. Come lui, Paolo, Luigi, Riccardo, rispondono alle domande in modo schietto, dalle più semplici ("Qual è il tuo libro preferito? Quale macchina ti piace guidare?") a quelle più articolate ("Come ricordi il risveglio dopo il coma?") testimoniando con una semplicità profondissima e reale la condizione che hanno subito e quel difficile percorso che quotidianamente seguono per riscoprire la propria persona, per crearsi una vita nuova e piena, servendosi del teatro come strumento principale di salvezza. Sulla scena sono seguiti silenziosamente da Luca Scotton, che muove i fili immaginari che tengono in piedi gli attori e si mostra come un moderno Pinocchio.
Il dramma del tema viene diluito da una messa in scena intelligente e sagace, dove non mancano momenti di tenerezza e commozione e risate di gusto, fondamentali per rappresentare l'ambivalenza talvolta intrinseca alla vita stessa, dove nell'amarezza e nella tristezza più nera si può sempre scovare uno spiraglio di luce e dove anche chi si perde può riuscire a ritrovarsi e rinascere.
Diario di un dolore è lo spettacolo che Francesco Alberici ha scritto a partire dall'omonimo testo di C. S. Lewis e si sviluppa riflettendo sulla possibilità di rappresentare il dolore stesso. L'esperienza a cui viene data voce è quella di Astrid Casali, che con coraggio racconta della morte del padre mostrandosi nella sua fragilità attraverso il riuscitissimo filtro teatrale.
Lo spettacolo, infatti, inizia ancor prima di cominciare ufficialmente: gli spettatori sono accolti con cibo e bevande - senza sapere che quello che stavano vivendo riproduceva il rinfresco avvenuto il giorno del funerale del padre dell'attrice - e gli attori li servono instaurando immediatamente un clima disteso. Si viene trasportati dunque nello spettacolo in modo quasi inconsapevole e, attraverso un dialogo attivo tra chi è sul palco e chi sta a guardare, ci si interroga sulla rappresentazione del dolore e si cerca, a poco a poco, di trovare degli espedienti per filtrare l'esperienza e renderla arte condivisibile e riproducibile. Con il "righello del dolore", ad esempio, tutti siamo invitati a riflettere sulla soggettività dei dolori vissuti e sull'inutilità di metterli in una scala oggettiva; con la tavola imbandita poi, Astrid ritorna la diciassettenne che scopre della morte del padre, e decide così di ripercorrere il momento per prendersi, almeno nella finzione scenica, un momento per sé. Presenza costante sul palco è il finto ritratto del regista, la cui storia romanzata rimane incerta: tra le bende del volto tumefatto del giovane si scorge un sorriso, ed è questa la raffigurazione del dolore di Francesco, posto fisicamente davanti alla platea.
Lo spettacolo riesce però, con la delicatezza della scrittura, a non far predominare il dramma: accanto ad esso c'è infatti la speranza. Se condiviso, il dolore può essere meno estenuante da portarsi addosso, ed è da lì che si può davvero rinascere.
A concludere la rassegna, Uthopia ha deciso di proporre un testo immortale, uno dei manifesti del romanticismo inglese, La ballata del vecchio marinaio di Samuel Coleridge nella traduzione di Beppe Fenoglio.
La Ballata, con i suoi meravigliosi versi, è messa in scena con eleganza, rispettando l'intenzione del testo originale: gli attori ripercorrono ogni parola vivendola energicamente e riescono a trasportare gli spettatori nel suggestivo mondo creato dal poeta inglese, quasi come se salissero sulla barca insieme al vecchio marinaio e lo accompagnassero, dopo il crimine, nelle sue peregrinazioni. Le voci di Ciro Masella e Eugenio Niccolini sono accompagnate passo passo dalle musiche evocative di Alessandro Luchi, nate dalle suggestioni che la Ballata gli ispirava, e non solo contribuiscono a creare un ambiente evocativo e sognante sul palco, ma scandiscono i movimenti e la danza di Beatrice Ciattini.
Recitazione, musica e danza sono tre componenti fondamentali, messe sullo stesso piano e interdipendenti: il tutto garantisce il successo dello spettacolo, che accompagna il pubblico in un viaggio necessario nella frenetica modernità odierna e che asseconda, per chi vuole, la volontà di scavare dentro di sé immedesimandosi nel protagonista della Ballata. Tutti infatti possono essere il marinaio, che, distrutta involontariamente la bellezza, può tornare a vivere nuovamente, espiando le proprie colpe e mettendo al centro l'esperienza personale, un'esperienza che uccide e che, finalmente, fa rinascere.
Per leggere le singole interviste a:
Babilonia Teatri
Scarti - Centro di Produzione Teatrale d'Innovazione
Uthopia - Associazione culturale di promozione sociale
Recensione a cura di Malaika Benedetta Sorace, volontaria in Servizio Civile a Officina Giovani.
ERBA magazine
Punto Giovani Europa - Informagiovani del Comune di Prato