Il «Boris Godunov» che i catalani della Fura dels Baus hanno portato a Firenze, è nell'idea veramente geniale: pubblico, attori e personale del teatro vengono presi in ostaggio da un manipolo di terroristi, passamontagna sul viso, tute mimetiche e cinture esplosive (attori, naturalmente). Tra raffiche di mitra, trattative frenetiche, dichiarazioni del presidente in tv, un maxischermo che permette di vedere il «mondo di fuori», il pubblico dovrebbe vivere l'assedio. Il pensiero va subito al teatro Dubrovka di Mosca dove, nel 2002, un gruppo di militanti ceceni sequestrò oltre 700 spettatori durante una replica di un musical. L'epilogo fu tragico: l'irruzione delle teste di cuoio russe ed i gas usati fecero quasi 200 vittime.
Nel riprendere questo 11 settembre moscovita, la Fura utilizza la funzione catartica del teatro immergendo il pubblico in una delle principali paure dell'era contemporanea: il terrorismo. La vicenda del sequestro scorre in parallelo con il dramma di Puskin che si sta rappresentando al momento dell'irruzione: Boris Godunov, zar eletto sul sangue e deposto con l'inganno, diventa emblema «del potere corrotto e dell'opposizione ad esso, altra faccia della stessa triste ed amara medaglia». Le immagini sono notevoli come le scenografie e gli improvvisi cambi di epoca e scena, notevoli le idee registiche di un continuo dentro e fuori dal teatro, ma la recitazione degli attori nel raccontare il dramma dei diversi personaggi è a tratti pesante e non in linea con il mutamento continuo della scena, lo spettacolo così perde di forza e si perde anche la sensazione della trappola, della reclusione, la funzione catartica. Gli stessi attori con cappuccio e mitra che girano tra il pubblico, nel ruolo di terroristi, dopo poco diventano delle macchiette senza più azioni, delle ombre, come se stessero là, ma senza anima.
Nel complesso interessante nell'idea e nelle immagini, video e teatro, scenografie e cambi di scena sono sicuramente originali, geniali, ma poi la recitazione, la mancata presenza scenica degli attori ed i dialoghi, smarriscono e fanno perdere l'essenza di una rappresentazione che poteva davvero lasciare il segno. Peccato.
Azzurra Becherini- ERBA magazine
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