Lo scorso 24 ottobre c'è stata l'inaugurazione al Museo Pecci della mostra After Utopia, una collettiva di artisti brasiliani contemporanei. Ma non è di questo che voglio parlare. Nelle sale adiacenti alla biblioteca c'è stata un'altra inaugurazione: la mostra fotografica di Piergiorgio Branzi, Giro dell'occhio, che rimarrà aperta al pubblico fino al prossimo 10 gennaio 2010.
Il fiorentino Branzi, classe 1928, negli anni cinquanta interrompe gli studi di giurisprudenza per dedicarsi alla fotografia e al giornalismo, dopo essere rimasto affascinato dalle immagini di Henri Cartier-Bresson. E' inutile dire che il suo stile ne rimarrà influenzato.
Le fotografie sono in bianco e nero e tutte in stampa giclée (vengono usati inchiostri di pigmenti puri di carbone che producono una vasta gamma tonale, conservano i dettagli nelle zone sia più chiare che più scure, e danno neri vellutati e profondi).
Foto nitide, poetiche; ma la cosa che colpisce maggiormente è che i soggetti rappresentati escono fuori dalla superficie: le tele grezze, le rocce, le tegole, la polvere, le pareti granulose dei vicoli, sembrano essere lì realmente, sembra di poterle toccare. Sono immagini molto materiche, molto terrene. Parlano la lingua di molti paesi, vicini e lontani: Spagna, Grecia, Parigi, per poi ritornare in Italia e catturare Firenze, Napoli. In un percorso che va dal '53 ad oggi, con le ultime foto degli occhi di pesce.
Nelle prime sale ci sono ritagli di città, scorci di paesaggi, dove la figura umana magari c'è ma non è protagonista o dove non è necessariamente in primo piano. L'uomo viene incorporato in un contesto più grande, ridiventa parte dell'insieme, l'insieme del mondo, gli è tolta la matrice egocentrica, non domina più. Un esempio è la foto Una donna a Matera del 1955, la piccola figura è sovrastata dal tutto, dalla città arroccata, dalla vita e da Dio, infatti nel punto più alto si vede una croce.
La religiosità, ma forse è meglio parlare di spiritualità, abbraccia ogni materia vivente ed è molto presente nell'opera dell'artista, con uno stile sempre accurato, squisito, di grande eleganza estetica e formale, come dimostra un'altra fotografia intitolata Firenze,la figlia dell'intagliatore del 1960. E' una piccola Pietà e Trinità al tempo stesso, una bambina sulle scale con in testa una coroncina di carta, una mano si copre il volto e l'altra regge in grembo una scultura lignea fatta dal padre intagliatore, un Gesù Cristo con la corona di spine.
Vagando per la mostra, guardiamo come di nascosto queste figure, le sorprendiamo nei momenti quotidiani della loro esistenza, incapaci però di penetrare l'intatto mistero che Branzi ha intriso loro. Oppure sono loro che ci sorprendono quando girando l'angolo ci fissano dalla loro bidimensionalità.
Nell'ultima sala ci sono i ritratti: bambini, anziani o semplicemente persone "tipiche" di un luogo o di un mestiere, ripresi nei loro appartamenti, nelle loro botteghe. Hanno una dignità d'altri tempi; commuovono, incuriosiscono e ci addolciscono lo sguardo con i loro occhi pieni di emozioni; sentimenti che forse noi abbiamo un po' dimenticato.
Infatti l'unica nota dolente della mostra era il chiacchiericcio continuo e sconsiderato di molte persone...che forse si trovavano li per caso o solo per "ammirare" il buffet!
Eugenia La Vita - ERBA magazine
Punto Giovani Europa