Non abbiamo certo rimpianto il festival di Sanremo giovedì 18 febbraio, noi spettatori, a vedere la pièce Le Nuvole di Aristofane, rivisitata da Antonio Latella. Non ci è mancata neanche la Clerici.
Canti, balli, e valletta con lustrini: un vero cabaret comico (filosofico) da far invidia a molti di quelli in tv. E certamente l'acustica del Metastasio è nettamente migliore di quella del nostro soggiorno di casa!
La storia narra di tale Strepsiade che stanco di debiti e problemi, causategli anche dal figlio, decide per risolvere i suoi guai, di tentare la strada della filosofia, sfruttandola però come arma oratoria e mentitrice per sopraffare mentalmente le altre persone.
Andrà così nell'esclusiva (e improbabile) scuola di Socrate e company, dove se vuoi qualcosa basta pagare. Ma la via della conoscenza è lunga ed impervia, e lo costringerà a desistere, mandando il figlio al suo posto: un'impresa che si concluderà con risvolti imprevisti.
È uno spettacolo (reale) che mette in scena uno spettacolo (teatrale), una matriosca metaforica della vita che inscena se stessa.
Socrate e suoi pensieri, impalpabili, mutevoli, come le nuvole. Nuvole che qui hanno la forma di un essere asessuato, che poi è un uomo travestito da donna (mai come ora così attuale), vestita di lycra, piume e tulle, tutta svolazzante, una vera showgirl, ballerina-canterina da cabaret.
Perché questo è proprio un cabaret, uno zelig greco d'altri tempi, rimescolato alla maniera di oggi, con tanto di gag, fischi, salti e pagliacci dal naso rosso e con scarpe troppo grosse. I personaggi sono clown grotteschi, dove persino il grande pensatore è ridotto ad una macchietta, uno showman-truffatore pronto a venderti qualcosa che non c'è: le idee appunto, proposte come miracoli caduti dal cielo, come panacee per tutti i problemi.
Alle spalle, in una prima scenografia scarna, c'è un piccolissimo teatrino (teatro nel teatro) addobbato da lampadine come quelle dei camerini (come se i filosofi fossero delle star, delle persone famose!) da avant-spettacolo (luci della conoscenza?): a rappresentare la porta simbolica della sapienza; varcarla è impegnativo proprio perché così stretta, non è per tutti e non tutti ce la fanno ad entrare.
Oggi vogliamo tutto e subito, scegliendo gli escamotage più facili e veloci, parliamo per parlare, senza (saper) dire nulla, vuoto in testa e vuoto in bocca. Mentre fatti e azioni concrete, diventano sempre più rare. Infatti nella seconda scenografia, scendono dall'alto numerosi scheletri, volti a formare una inquietante coreografia di spettri: sono i pensieri/nuvole ormai morti.
Un padre che vuole che il figlio impari a pensare? Ad essere intelligente? La progenie si sa, spesso è bambocciona (altro tema attuale), disobbediente, svogliata, egoista (ma Pinocchio poi non l'aveva già esplicato il concetto?) e nello spettacolo il figlio prima che acquisisca la conoscenza, è realmente una marionetta, un pupazzo manovrato. Però i padri non son da meno. Se Strepsiade manda suo figlio da Socrate, non è certo per essere un buon genitore, il tutto è ridotto a proprio beneficio, a vantaggio personale, per migliorarsi l' esistenza cancellando i debiti. Debiti simbolici, con la vita, e monetari, che non vuol pagare, mandando il ragazzo a riscattarli in sua vece; e debiti morali, che sia figli che genitori prima o poi devono pagarsi l'un l'altro. Da sempre è così, e sempre sarà ... o forse no?
Alla fine gli uomini non riescono ad afferrare, a trattenere le nuvole e ripiombano così nell'ignoranza e quindi nell'animalità; c'è una citazione inversa a 2001 Odissea nello spazio: se nel film le scimmie in qualche modo si evolvevano grazie alla conoscenza, qui invece è il contrario, perdendola gli uomini ri-diventano animali. In sotto fondo la canzone dei Doors The End, riarrangiata in maniera ancora più psichedelica, è la fine, "the show don't must go on"...
Ultimissima citazione che chiude il sipario: con la canzone, quasi parlata, di Battiato Povera Patria, vediamo che le tre scimmie si aggirano sul palco distruggendo le carcasse scheletriche (la coscienza-conoscenza). Una di loro ha la fascia tipica dei sindaci italiani...
Eugenia La Vita - ERBA magazine
Punto Giovani Europa