Attraversate sette ore di fuso orario e sorvolate le profondità degli oceani, l'esperienza del jazzista Roscoe Mitchell ha incontrato a Prato la sensibilità di un folto pubblico che, critico ed attento, ha seguito per circa un'ora e mezzo il concerto, piacevolmente sorpreso nei momenti di più percepibile estro e di intuizione creativa ma allo stesso tempo colpito dalla strana sensazione di trovarsi ad un pugno di Hz non dalla melodia, bensì dal rumore.
Questa sensazione ha una precisa risposta: la produzione di Roscoe Mitchell viene definita "Free Jazz", forma musicale sviluppatasi fra New York e Chicago negli anni sessanta del Novecento.
Il nome parla da sè: è uno stile libero, disarmonico e irregolare, dalle partiture spesso improvvisate e lontane da schemi tonali, dallo studio dello spartito.
Questo flusso di arte porta con sè mezzo secolo di storia di rivendicazioni essendo figlio delle grandi contestazioni della cultura Afro-Americana che in quegli anni lottava per i propri diritti civili; specie ai suoi esordi, il "Free jazz" era considerato un vero e proprio fenomeno politico che facesse da collante all'interno della popolazione nera, che desse a quest'ultima la giusta carica della ribalta.
In un evidente parallelismo, infatti, le immagini dell'emancipazione dei neri dai bianchi e la reale rottura delle catene di schiavitù che legava i primi ai secondi si ricollegano allo stravolgimento dei canonici schemi del jazz, di cui ho parlato in precedenza.
Questa rivoluzione del genere elegge come protagonista non l'armonia fra tutti i componenti ma bensì il protagonismo dei singoli musicisti che a turno si rendono portavoce della loro grande abilità.
A stupire maggiormente la folla è stato l'assolo del batterista, cui è seguito un plauso prolungato.
Nonostante questa apparente confusione: baricentro acustico, per la predominanza del suo sax, e visivo per lo splendore dello strumento e la posizione occupata al di sopra del palco, è stato ovviamente Roscoe Mitchell. Esile figura dal grande carisma il cui volto e presenza, visto il suo notevole spessore, erano circondati da una buona dose di sacralità e di rispetto a prescindere dall'apprezzamento o meno della musica.
Nadia Maccarrone - ERBA magazine
Punto Giovani Europa