Emilio Isgrò (classe 1937) è l'artista delle cancellature. Le prime risalgono al 1964, un lavoro rivoluzionario che gli permise di esporre ben presto in spazi prestigiosi italiani e stranieri. Il Centro Pecci accoglie la sua retrospettiva (inaugurata sabato 2 febbraio) "Dichiaro di essere Emilio Isgrò", curata dall'artista insieme a Marco Bazzini e Achille Bonito Oliva: quasi una negazione dell'istallazione che l'artista aveva realizzato a Prato nel 1971, in cui dichiarava di non essere Emilio Isgrò.
Quella di Isgrò è un'arte concettuale, che si muove per sottrazioni. L'enciclopedia Treccani, la favola di Cappuccetto Rosso e Cenerentola, le cartine geografiche: niente rimane immune dalla sua azione di cancellare qualsiasi forma scritta. Oppure di decontestualizzare parole, virgole, note musicali, donando un valore assoluto agli elementi linguistici, che diventano dei puri elementi grafici. L'artista, poeta visivo, pittore e scrittore, nato a Barcellona (Messina) ha definito così le sue cancellature: "Io cancello le parole per custodirle, è un gesto di salvezza. Le mie tecniche di linguaggio espressivo mi consentono di sparire per poi riemergere".
Ma l'intento di Isgrò è anche quello di creare un'attesa, delle domande, una necessità di ricerca e di sforzo mentale, rimandando a qualcosa che non è visibile, ma solo accennato dalle didascalie che accompagnano le opere. Una freccia, delle persone, Marx che si confonde con lo sfondo rosso: l'artista dà l'indicazione di una presenza, che diventa tale benchè assente, acquistando una ragione di esistere per il semplice fatto di essere menzionata. E anche lui stesso non è immune da tali definizioni. La sua esistenza/assenza è confermata da dichiarazioni di personaggi famosi, capi di stato e familiari che esprimono giudizi sul loro legame con Emilio Isgrò, raccolti in un'unica installazione.
La mostra è visitabile fino all'11 maggio.
Sara Lucarini - ERBA magazine
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