L'arte è espressione interiore o è un business? L'opera d'arte esiste grazie all'artista, o solo con l'intervento del critico d'arte? La forma artistica esiste in quanto tale, o per assumere valore deve essere guardata? E l'artista crea per se stesso? È un esigenza, un'urgenza vitale o è solo un'altra forma di consumismo?
Tematiche forti ma attuali quelle affrontate dal nuovo film di Sergio Rubini. Un film a tratti spiazzante, non privo di colpi di scena. Tutto ruota intorno all'arte, che viene affrontata in ogni suo passaggio. Dalla creazione, quella primitiva, degli esordi di un'artista, quando quello che fa non è contaminato, non è inglobato da indici di valutazioni, denaro o attese nelle recensioni. Poi c'è la figura del critico, praticamente indispensabile. Un vero e proprio mercato, dove il critico, potente, muove le pedine delle sorti dell'artista.
Pietro Lulli (Rubini) è un potente critico d'arte. Gloria (Vittoria Puccini) è una sua ex allieva adesso amante da dieci anni. Fino a quando non incontra Adrian Scala (Riccardo Scamarcio) un giovane e promettente artista contemporaneo. I due vanno a vivere insieme e il loro amore è puro, come lo è l'arte di Adrian, insieme alla vita che conducono, lontana dai clamori, fuori città in campagna. Poi Lulli rientra nelle loro vite. È il critico che scommette sulle opere di Adrian, è colui che lo inserisce nei luoghi e tra le persone giuste. L'ascesa artistica di Adrian è direttamente proporzionale allo sfascio della sua vita privata, amore e amicizie comprese. È una lotta impari., in cui ad avere la meglio è il cinismo più forte e, che lo si voglia o no, anche l'amore da solo non basta.
Ecco qui il dilemma: per raggiungere un sogno è davvero necessario sacrificare un po' di noi? Per inseguire una passione è sempre inevitabile dover abbassare la testa ai voleri dei propri pigmalioni? Oppure è anche lecito ribellarsi, sbattere la porta e rinunciare a tutto? E poi, se il talento vale davvero, è comunque necessario scendere a compromessi? Rubini sembra dare una risposta quando per la prima volta Gloria e Adrian quantificano in termini di denaro le opere dell'artista. Ecco la perdita d'innocenza, ecco il frantumarsi del valore assoluto dell'arte. Ecco che la materialità entra a far parte di una forma espressiva impulsiva e incontrollabile.
Fondamentale per il significato artistico della storia è stata la consulenza di Gianni Dessì (uno tra gli artisti più significativi dell'astrattismo contemporaneo). L'opera d'arte con l'impronta della mano trasmette la necessità dell'artista di imprimere qualcosa di sé. E alla fine, nell'arte come nella vita, vince chi ha il coraggio di lasciare un segno.
Sulla scena Sergio Rubini si ritaglia una parte fondamentale, ma in fondo secondaria, quasi da spalla a Riccardo Scamarcio, che finalmente riesce a dare espressività alla sua recitazione. Lo stesso non si può dire dell'algida Vittoria Puccini, quasi spaesata all'interno di un set cinematografico, con tempi diversi per battute e movimenti, è evidente, da Elisa di Rivombrosa. Qualcuno dovrebbe dirglielo.
Sara Lucarini - ERBA magazine
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