Immaginatevi di vedere sul palco un chitarrista messicano appena maggiorenne che sembra uscito dalla serie Miami Vice, un bassista afro-americano confondibile con un bluesman cinquantenne di Nashville, un batterista americano standard di trent'anni e un cantante indiano con i rasta fino al ginocchio.
Questo è lo scenario che ho trovato sul palco del Link di Bologna lo scorso 21 maggio. Ho capito subito che c'era qualcosa di strano vedendo la formazione prendere posizione, ma ovviamente me lo aspettavo, basta ascoltare il suo primo album A Sufi And A Killer (Warp, 2010) per capire che qualcosa di incredibilmente strano esiste già. Gonjasufi è Sumach Valentine, ed è un insegnante di yoga e un rapper che vive nello sperduto deserto del Nevada.
L'anno scorso si è fatto conoscere a livello internazionale con il suo primo disco che è un lavoro dove gli ingredienti principali sono il dub, la psichedelia e la grande dose di inserimenti etnici che amalgamati tra di loro con una tecnica notevole hanno creato un sound rock molto fresco e innovatore. Difficile trovare un genere di riferimento, il punto di forza di questo lavoro sta appunto nella paziente e coordinata miscela di ritmi e melodie africani, indiani, giamaicani a stili invece decisamente più vicini a noi; in pratica è il giusto punto d'incontro tra musiche extra-occidentali e musiche occidentali e Gonjasufi lo fa senza scadere mai nel banale, ma anzi sorprendendo sempre l'incuriosito ascoltatore.
Il concerto, invece, è decisamente diverso rispetto al disco: penso che per riproporre in maniera fedele i suoni dell'abum Gonjasufi avrebbe dovuto avere a disposizione una quindicina di elementi. Si presenta quindi con questa multietnica formazione di classico stampo rock e due postazioni consolle alle quali fa affidamento per alcuni brani. Durante le canzoni si muove come un animale pazzo, è sempre piegato su se stesso davanti alle spie con i rasta che vanno a coprire il suo volto, si agita incitando il pubblico e alla fine del concerto strizza più volte la maglia intrisa di sudore, gli altri lo seguono tranquillamente nel suo delirio. Le tracce del disco vengono quindi riproposte in una chiave molto rock, forse troppo: molte volte arrivano a dei timbri duri, che assottigliano tutta la diversità dell'album a un unico genere, ma che comunque ripropongono abbastanza fedelmente la registrazione.
Il pubblico reagisce bene a questo live, d'altronde questa è una delle uniche due date che farà in Italia e l'attesa di vedere Gonjasufi all'opera era veramente grande. Alla fine una serie di bis in cui vengono proposti brani della versione rapper dell'artista e in cui i musicisti si alternano agli strumenti divagando senza limiti e dando vita a improvvisazioni estenuanti. Piccola nota negativa a margine: il concerto è iniziato alle una di notte, il perchè rimane ancora un mistero.
Filippo Bigagli - ERBA magazine
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