Raffaele Di Vaia

di Eugenia La Vita

 
Foto di opera dell'artista che rappresenta una sedia
Il riflesso (2007), grafite su carta di Raffaele Di Vaia
 

Tutto il lavoro di Raffaele Di Vaia ha tracce ripetute e approfondite, fortemente pensate. Psicologiche. Un modo per conoscersi (e farsi anche conoscere) tramite l'arte.
 
Le sue opere ruotano attorno al tema della memoria e dei ricordi, per questo si avvale di trasparenze, aloni, sfocature e sfumature riproducendole nelle sue fotografie o nelle video installazioni, in cui si possono ritrovare citazioni letterarie, ad esempio Doppio Sogno di Schnitzler, e cinematografiche come il Nosferatu di Murnau. Le sue immagini sono sovrapposte in bilico tra i confini di veglia e sogno, conscio e inconscio. La mente, e tutto quello che racchiude, è la protagonista delle opere, ritenuta grembo di idee, concetti, memorie. Ma anche il rovesciamento di ruoli tra preda e predatore, dove il confine tra chi caccia e chi è cacciato è labile.

Di Vaia compie lavorando, un processo emotivo e psicoanalitico su di sé e in sé, spesso adoperando la propria fisicità, la propria imagine. Il suo approccio artistico è soggettivo e intimistico, pure quando l'attenzione è rivolta fuori, ad altro, a fenomeni esterni, alla realtà (che lui riconduce dentro, all'interno) perché alla fine anche questa è sempre un prodotto psichicamente personale.

In alcune opere sfrutta l'uso dei riflessi, giocando sulla semantica della parola: sono sia fenomeni fisici, ottici (e qui materici) sia simboli metaforici. Lo si vede bene nei lavori a grafite, del 2007 Usci. Con la tecnica del frottage, con la grafite, ricalca un oggetto, una porta (che è sempre la solita): non ha l'obbiettivo di creare un disegno, il suo è un gesto di memoria recuperata che tiene in vita l'oggetto che sta rappresentando. Sembrano lastre di piombo, lavori quasi scultorei. La porta è una barriera e non potrà mai aprirsi, perde la sua valenza funzionale. Così per un altro oggetto, la sedia, rovescia però le parti: proiettando l'ombra sul foglio disegna la parte di luce. Il vuoto diviene pieno, diventa segno, e la sedia non è più oggetto ma altro. Col frottage desidera eliminare la parte introspettiva del segno, arrivare a un segno freddo, più anonimo possibile.

Diverso il discorso per i disegni che ricalcano uno specchietto, dove l'oggetto questa volta recupera parte della sua funzione, che è quella di riflettere e rimandare un'immagine, grazie alla lucidità della superficie della grafite. 

Di Vaia adopera in alcuni video degli oggetti personali, scelti per una certa importanza simbolica o con cui si identifica ed anche per permettere allo spettatore di arrivare più vicino all'artista, alla sua psiche. Non a caso lo stesso specchio è presente in un precedente video del 2008 Venere. Questo è ispirato da un racconto d'infanzia della madre, dove la nonna le proibiva di guardarsi allo specchio perchè altrimenti avrebbe potuto mostrarsi il diavolo. Lucifero è l'angelo che per la sua vanità sprofonda negli inferi; il suo nome significa 'portatore di luce' ed è riferito anche al pianeta Venere, dato che era considerato l'ultima stella del mattino e la prima della sera; ma Venere, nella mitologia è la dea della bellezza. Questa ambiguità di riferimenti si presenta nel video attraverso una lentissima carrellata (zoom in) che da una stanza buia porta all'interno dello specchio dove è in attesa il mostro (un mostro che si mostra, che assaliamo-assimiliamo). Il tutto accompagnato al brano tratto dalla Norma del Bellini dal titolo, appunto, Meco all'altar di Venere

 

Immagine di un video dell'artista con uomo sfuocato come soggetto
Lupus extra fabulam di Raffaele Di Vaia

 
Sul tema del rovesciamento dei ruoli (e di senso) gira il video La Trappola: c'è la maniglia di una porta che si agita all'infinito. Lo spettatore non sa se sentirsi preda o predatore. Un ruolo ambiguo che crea attimi di tensione, qualcosa deve succedere come nei film thriller senza capire se qualcuno deve entrare o uscire. La porta, come nei frottage precedenti, è una barriera invalicabile...
 
Anche nel video La Caccia, in cui una figura (ripresa da dietro le spalle) si muove incessante all'interno di quella che sembra una casa. Pure quì non è chiaro se stia inseguendo qualcuno o si è inseguiti. L'effetto claustrofobico (e inquieto-inquietante) è dato da una chiusura del campo d'azione, con un ambiente spaziale limitato, accentuato dal bianco e nero. In molti video, ma in generale in molti lavori, Di Vaia opta per questa scelta, non solo stilistica, l'assenza dei colori infatti porta tutto in una maggiore intimità e individualità, così per gli spazi interni e ristretti. La contraddizione a queste chiusure è che l'artista però ci apre il suo mondo: possiamo guardare ma non entrare (e talvolta solo spiare dal buco della serratura). Uno dei pochi video che gira a colori e in esterno è il Canto: inteso come il suono dell'uccellino protagonista, sia come il cantuccio, l'angolo piccolo dove il passerotto disperato è rinchiuso. Non riesce ad uscire, chiama aiuto con il canto, che è sia mezzo di comunicazione, sia la prigione in cui si rinchiude. Anche qui c'è la stessa impressione di chiusura, come in Lupus extra fabulam, video da immagini sfuocate dove un essere umano (pur sempre una bestia) è intrappolato come un lupo nella gabbia-video-tv. Il ruolo di cacciatore dell'animale è annientato. Lupo e uccellino sono in antitesi, ma per entrambi sembra non ci sia più spazio in questo mondo: la naturalità, l'animalità è ricacciata indietro dall'uomo (che a sua volta ritrae la propria parte selvaggia).
 
In Faustine invece, l'artista riprende la sua famiglia, a colori (essendoci persone 'esterne', mantiene invece in b/n per sè e la propria introspezione). Ci sono sei registrazioni riproiettate e stratificate una sull'altra, i personaggi (moglie e figlia) devono interagire con essi creando una sorta di effetto 3D. Reale (i corpi fisici) e irreale (le proiezioni degli stessi corpi e dei loro movimenti) si confondono insieme.

Gli ultimi lavori Gli altri, vedono in primo piano delle fotografie (si distacca dal suo intimo partendo comunque da esso con immagini personali). Dalle foto di famiglia dirige l'attenzione alle figure in secondo piano. Scansionando e ingigantendo le immagini riporta l'occhio ai personaggi microscopici dello sfondo: sconosciuti dei quali non ci accorgiamo che passano mentre scattiamo, di cui non conosciamo niente. Una sorta di fantasmi che prendono forma e vita. Creando un rapporto con persone che non ha scelto, in un contatto involontario e casuale.

 

Foto in bianco e nero di opera dell'artista
Nahual (2002), stampa digitale di Raffaele Di Vaia


Per approfondimenti e la visione degli altri lavori dell'artista: www.raffaeledivaia.com.

 
 
Ultima revisione della pagina: 27/6/2016