Si è trattato di un viaggio all'interno dell'animo umano, dei suoi tormenti e problemi esistenziali, quello che il visitatore si è trovato a compiere tra le piccole stanze della Strozzina; dove fino allo scorso 27 gennaio è stato possibile vedere la mostra dal titolo: "FRANCIS BACON e la condizione esistenziale nell'arte contemporanea".
Dopo le prime due sale in cui ci si trovava a diretto contatto con le opere del famoso artista, quali "Seated Figure" del 1974 e alcuni ritagli di giornale e libri, accartocciati, scarabocchiati e deteriorati dallo scorrere del tempo (proprio così sono stati trovati nello studio londinese dell'artista, riproposto in una serie di foto a fine percorso); ha avuto inizio la mostra vera e propria che vedeva come protagonisti giovani artisti internazionali contemporanei quali Nathalie Djuberg, Adrian Ghenie, Arcangelo Sassolino, Chiharu Shiota e Annagret Soltau.
Tutti e cinque dialogano con Bacon, riflettendo sugli stessi quesiti in chiave però contemporanea, trasponendoli quindi al vivere e alla condizione esistenziale odierna, propria dei giorni nostri; ciascuno seguendo la propria indole e quindi non solo attraverso dipinti ma anche video, installazioni, fotografie.
Ciò che più colpisce è il modo in cui la mostra è stata concepita, come una sorta di percorso iniziatico o viaggio nel mondo interiore, in cui il visitatore non accoglie passivamente gli stimoli che lo circondano ma è invitato a riflettere, anzi è spinto ad interagire con le opere, dalle quali è quasi dolcemente aggredito.
Si percepisce questo soprattutto nelle due sale dedicate a Nathalie Djuberg, l'artista svedese nota per i suoi video e installazioni realizzati con la plastilina e la tecnica dello stop-motion. Suggestiva è soprattutto la seconda sala, studiata dall'artista nei minimi dettagli, finanche nella scelta della moquette, espressamente richiesta e voluta per la volontà di infondere nello spettatore un senso di familiarità, proprio come se si trovasse a casa propria. Al centro della sala vi era una casetta o meglio capanna di legno in cui lo spettatore era invitato ad entrare accovacciandosi; da qui il titolo Das Waldhäusen (Casa nel bosco).
Accogliente ma anche scomoda, in quanto piccola e con una sedia e tavolino minuscoli al suo interno, non era l'unico elemento dalle sottili note discordanti. Davanti a noi vi era infatti uno schermo da cui viene proiettato ininterrottamente il video "Turn into Me", in cui assistiamo (sulle note fiabesche e giocose della musica del noto collaboratore Hans Berg) alla morte e decomposizione del corpo di una giovane donna in un bosco "da favola".
Come davanti ad un film d'animazione alla Tim Burton se ne era attratti, divertiti e raccapricciati allo stesso tempo; similmente nei due video della sala precedente (uno dei quali visibile all'interno di una sorta di grotta neolitica) dove il binomio vita/morte fa sempre da leit-motiv.
Il secondo artista riportava invece all'uso del mezzo pittorico. Si trattava del pittore rumeno Adrian Ghenie, la cui caratteristiche erano quelle di partire da foto distorcendo, attraverso violente e grumose pennellate, le fattezze umane (in particolare i volti, proprio come Bacon); ad esempio quelle di noti dittatori del '900.
Inusuale un "ritratto borghese" di Hitler colto in un momento privato nella sua residenza estiva di Berghof; riconoscibile, se si guarda attentamente l'immagine, dal "noto" baffetto.
La terza artista era ancora una donna, Annagret Soltau, la cui opera era visibile già nel volantino pubblicitario della mostra. Nota per i suoi PHOTO SEWINGS (ritratti fotografici cuciti); presentava (oltre ad una video/performance ) tre "serie" di fotografie: sulla parete destra la serie "Selbst" (Sé, 1975-76) in cui l'artista agisce sulla fotografia cucendo (con un filo nero di seta) il suo volto già segnato e deformato da uno stretto filo di nylon e N. Y. FACES- chirurgiche Operationen (Volti di New York- Operazioni chirurgiche, 2001-02).
Ciò che più colpisce era però la sequenza sulla parete di destra intitolata DA-GEGEN-GEHEN (Andare contro 1977-84). Pensata partendo da un monocromatico bianco per andare a finire, dopo la graduale apparizione del corpo dell'artista, in un'angosciante e dissolvente monocromo nero; era interessante notare come, a seconda dello stato d'animo di ognuno, c'era chi preferiva leggerla al contrario infondendole un significato positivo.
Del resto l'arte contemporanea prevede e comporta anche questo, la libera interpretazione dello spettatore attivo. Con l'artista giapponese Chiharu Shiota, invece, si riprende il senso fisico del percorso intrapreso nei meandri dell'animo.
Ci troviamo infatti letteralmente immersi in una sorta di intricata foresta che altro non era che un tunnel avvolto da una serie di fili neri intrecciati e saldati alla parete (che ha richiesto tre giorni di lavoro e l'intervento di un'equipe di studenti d'arte), entro cui emergono delle porte di duro legno massiccio. Non si tratta di una finzione ma di vere e proprie porte, un tempo appartenenti a Palazzo Strozzi e poi abbandonate nei depositi. La volontà dell'artista, ben esemplificata, è la rappresentazione fisica e metaforica dell'intricata mente umana con tutti i suoi fili, ricordi, collegamenti che solo la memoria può comprendere e rievocare; rendendo visibili alla vista lo scorrere inesorabile di spazio e tempo (altro tema della mostra).
Illuminante questa frase: "La creazione con i fili è la trasposizione dei miei sentimenti mentre lavoro". (Chiharu Shiota). Infine conclude il percorso l'opera di Arcangelo Sassolino, che in realtà accompagna con il suo rumore assordante ed invasivo il visitatore, durante tutta la sua visita. Costituita da un sistema meccanico caratterizzato da un pistone collegato a un sistema idraulico e da una spessa gomena da cantiere navale; l'installazione occupa per intero tutta la stretta sala longitudinale, azionandosi ad intervalli regolari. Come nell'opera precedente rende fisicamente e materialmente evidenti sotto gli occhi valori esistenziali; in questo caso la tensione emotiva determinata da forze contraddittorie.
E' ben evidente che si è trattato di una mostra altamente performativa, interattiva ed emotivamente coinvolgente, adatta per questo non solo ad un pubblico di esperti d'arte contemporanea o amanti di Bacon, ma a tutti, anche a un pubblico solitamente lontano da questo tipo d'arte perché il tipo di approccio coinvolgente e stimolante stuzzica la curiosità e fantasia, lasciando spazio a meditazioni profonde e riflessioni personali e chissà, che una volta tornati a casa, non venga voglia di approfondire la conoscenza di alcuni movimenti ed artisti...
Ilenia Vecchio - ERBA magazine
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