Erri De Luca, classe 1950, è sicuramente tra gli autori contemporanei più interessanti. Leggendo le sue pagine, ma ancor di più se si ha la fortuna di incontrarlo di persona, capiamo subito di trovarci davanti a una persona genuina, con pochi fronzoli e "grilli" per la testa, che scrive più per necessità che per altro e che le parole non le butta semplicemente dove capita, le pesa. Lo afferma lui stesso nella prima pagina del suo libro Le storie che racconto hanno il punto di partenza in forma di teatro personale, che si svolge alla lentezza della mano e della trascrizione.
Oltre al dialogo dei personaggi, insomma, nei suoi racconti vi è, ancora più importante, quello tra esperienza vissuta e scrittura, tra oralità delle voci (soprattutto della colorita parlata napoletana) e mano dello scrittore, attenta a immortalare momenti di vita quotidiana altrimenti imprigionati nella sola memoria.
Da qui, probabilmente, anche la scelta di scrivere un libro sotto forma di testo teatrale. La doppia vita dei numeri è di piacevole lettura e ha il pregio di riassumere in poche pagine (sono solo sessantanove) il tono intimo dell'autore e temi a lui vicini. Napoli, sua città d'origine, con la sua particolare quotidianità (interessante il modo in cui De Luca ne dipinge alcuni suoi dettagli), ha un ruolo principale, così come il rapporto tra il protagonista e i membri della sua famiglia, siano essi in terra o nell'aldilà.
La storia parte e si sviluppa dal dialogo tra un fratello e una sorella intenti a mettersi d'accordo sull'imminente notte di capodanno. Una notte di festa, o che almeno dovrebbe essere di festa, che i due decidono di passare insieme, ma la quale inevitabilmente fa riaffiorare in loro il ricordo dei genitori scomparsi. Nonostante ciò, i
due personaggi (i quali rimangono per tutta la durata del libro due anonimi pronomi, un "lui" e una "lei") non si lasciano schiacciare da una nostalgica monotonia, anzi si abbandonano a scenette di ironica simpatia, in cui anche i genitori, magicamente riapparsi, rimangono inevitabilmente coinvolti. Perché, in fondo, chi lascia questa terra non ci abbandona mai per sempre.
Claudio Pinna - ERBA magazine
Punto Giovani Europa