Avevo sentito da tempo che Stefano Benni avrebbe pubblicato a breve un nuovo libro e aspettavo con ansia il giorno in cui avrei potuto infilarci dentro il naso. Finché un giorno lo vedo. Lì, nella vetrina della libreria, con la sua copertina rossa.
Vengo rapita per 207 pagine, dal momento in cui un po' emozionata ho aperto il libro per la prima volta fino a quando, in preda ad una sorta sindrome di Stoccolma letteraria, mi avvicinavo all'ultima pagina e avrei voluto non arrivasse.
L'ormai quasi settantenne Martin, professore universitario in pensione e scrittore, si è ritirato nella solitudine della sua casa di fronte al bosco. Una solitudine che lui vive come l'inevitabile conseguenza della sua condotta con le donne, ma anche come un rifugio dalla mediocrità del suo ambiente , allietata dal maestoso cane Ombra, dalle conversazioni con gli animali del bosco e dallo studio delle poesie del Catena, poeta locale morto in manicomio.
Tutto cambia con l'arrivo dei nuovi vicini, lui, arrogante mercante d'arte e pittore senza talento e lei, la bionda Principessa del Grano in cui il professore ritroverà in parte la donna amata molti anni prima.
Un romanzo dal ritmo incalzante in cui si alternano una prosa immancabilmente divertente e una poesia toccante ma mai lacrimevole. Al contrario, talvolta essa diviene uno dei mezzi attraverso il quale lo scrittore offre un giudizio tanto sottile quanto tagliente sullo stato in cui versa il Paese, sulla totale mancanza di responsabilità di chi detiene il potere e sulla pochezza di alcuni suoi colleghi. Tutto questo si realizza anche attraverso l'usuale invenzione di nomi più consoni per le cose (come nel caso degli ''spendodromi'') e la descrizione di quelle che sembrano essere diventate sagome ricorrenti (il politico corrotto a braccetto con l'imprenditore arricchito sulla pelle delle persone e dell'ambiente). Un ritratto della città fatto quasi con un certo distacco, dal punto di vista un po' distante che il professor Martin ha scelto per sè.
Elisa Marrocu - ERBA magazine
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