Quattro linee narrative, quattro scenari di vita al limite del delirio che convergono in un unico finale che fa tabula rasa di tutto ciò che lo precede.
Personaggi che cozzano rumorosamente tra di loro e che in un climax di assurdo e grottesco si muovono, nutrendosi gli uni degli altri. Calcando la mano con sorniona ironia sui difetti, le debolezze e i vizi dei personaggi, che nascono già come caricature di un coacervo di stereotipi sclerotizzati, Franco Legni imbastisce uno scheletro narrativo elettrico, teso fino al punto di esplodere, retto da una concatenazione implacabile di eventi in cui nulla è lasciato al caso e in cui ogni singola vertebra deve la sua esistenza ad un sacrificio consumato in precedenza.
Tutti i personaggi si agitano nel loro inferno personale intriso di frustrazione, solitudine, psicosi, rabbia, furore omicida, vendetta, violenza e depressione, senza riuscire ad alzare la testa dalla melma in cui sono invischiati. Un immaginario strabordante, ridondante e dalle connotazioni ora pop, ora pulp, ora splatter che pur attingendo a piene mani dalla letteratura di genere riesce a darsi un'autonomia, dovuta in larga parte all'ironia tanto tagliente quanto goliardica che marca stretti i personaggi.
Nichi Moretti, tra le roboanti presenze che si affastellano nel testo, è l'unico a partire in sordina, l'unico conscio di essere stato messo in scacco dalla vita e che viene costretto a ridestarsi dal suo stato semi-larvale dagli eventi surreali che gli si pareranno contro. E' senza dubbio Nichi Moretti l'unico essere umano superstite in questo scenario post apocalittico in cui le donne sono sterminatrici folli neo-naziste e mangiatrici di uomini, gli amici voluttuosi e psicopatici, gli "eroi" di provincia dei ridicoli buffoni da balera e i cinesi parassiti e affaristi senza scrupoli intenti a spolpare chi mina i loro piani.
C'è da chiedersi, rischiando la sovra-interpretazione e il ruzzolone che ne conseguirebbe, se tutti i personaggi che accompagnano le rocambolesche vicende di Nichi Moretti non siano unicamente delle allucinazioni partorite dalla mente del nostro che per dare una fisionomia, un nome e così un origine e una fine al proprio tormento decide di oggettivare il tutto portandolo con sé sulla carta stampata.
Martina Bartalini - ERBA magazine
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