Peter Hammill, Guy Evans e Hugh Banton sono saliti sul palco più o meno alle 20 e 30, quando ancora il cielo era chiaro: per un occhio distratto sarebbero potuti sembrare tecnici del suono, data la nonchalance con cui hanno solcato il palco di Pistoia Blues.
Poi si sono posizionati dietro i loro strumenti, fra il giubilo entusiasta del pubblico che li aveva riconosciuti: due tastiere di lato e la batteria al centro. Sullo schermo dietro al palco niente immagini o video per la celebre band di Manchester. L'entusiasmo era palpabile sin dall'inizio, ma poi il trio ha cominciato a suonare ed eccoli: i Van Der Graaf Generator.
La storia di questo gruppo inglese dal nome olandese ha fatto e fa tuttora rabbrividire e ancora divide la critica musicale. In quale genere classificarli? Perché si sono sciolti più volte, anche quando erano all'apice del successo? Quanti sono veramente i dischi che hanno realizzato come band?
La vera e più importante formazione è quella composta da Peter Hammill, voce e compositore dei testi, David Jackson, che a volte ha anche suonato due sax contemporaneamente, Hugh
Banton, all'organo e Guy Evans alla batteria.
Questa è la formazione che ha regalato i migliori album, composta da ragazzi poco più che ventenni, capaci di
contribuire alla creazione di un nuovo movimento originato dal rock, definito comunemente progressive rock. Dopo aver prodotto nel 1970 due album eccezionali come The least we can do is wave to each other (con momenti epici, come l'esecuzione di Refugees o After the Flood) e H to He who am the only one (considerato quasi surreale, prorompente anche senza basso e chitarra elettrica), i Van Der Graaf fanno uscire nel 1971 Pawn Hearts.
E' l'album che viene considerato quasi unanimamente il terzo lavoro della band, nonostante sia in realtà il quarto, dato che nel 1969 era uscito The Aerosol Grey Machine, stampato però
soltanto negli Stati Uniti e in Germania.
Proprio al culmine del loro successo, stancati da numerosi tour italiani e senza più "la magia dei giorni migliori", i Van Der Graaf Generator si sciolgono, per poi riformarsi quattro anni più tardi.
Così come The Aerosol Grey Machine doveva essere il primo album solista di Hammill, anche i tre dischi solisti di Hammill fra il '71 e il '75 non sono veramente 'solisti': i quattro ex-Van Der Graaf suonano insieme, senza però considerarsi un gruppo,
fino al 1975, anno in cui si riuniscono, creando Godbluff, un disco controverso che secondo alcuni mostra i limiti creativi della band e che altri hanno invece acclamato addirittura come miglior disco mai prodotto.
La musica dei Van Der Graaf Generator, abbreviato Van Der Graaf o anche VDGG non è mai stata musica semplice. Non è musica ballabile, né tantomeno orecchiabile. Ogni pezzo è una
melodia che si imprime nella mente di chi l'ascolta. Non sono canzonette, con tutto il rispetto per le migliori 'canzonette' degli anni Sessanta, bensì pezzi che oscillano continuamente fra il progressive rock, il jazz e la musica classica. E' forse proprio questo il prezzo che i VDGG hanno dovuto pagare, diventando meno conosciuti fra il grande pubblico dei Pink Floyd, dei Genesis o dei King Crimson.
Non ci vogliono molti ascolti per notare che di fronte ai Van
Der Graaf addirittura i Pink Floyd sono commerciali, eccezionali certo, ma pur sempre commerciali. Quante volte abbiamo sentito canticchiare Another Brick in the Wall anche da persone che i Pink Floyd li conoscono a malapena?
In Van Der Graaf Generator - la biografia italiana, stupendo libro di Paolo Carnelli, si legge che "i VDGG sono destinati a rimanere una band per pochi intimi, perché richiedono più di quanto la maggior parte delle persone sia in grado di dare".
Il suo pubblico, un cult following composto sia da anziani appassionati che da giovani ventenni, è ovviamente diverso: è un pubblico attento che si potrebbe trovare ad uno spettacolo teatrale o ad un reading di poesia. Ma in fondo i Van Der Graaf non sono anche questo? Non sono stati anche loro esponenti di quel concetto di teatro-palcoscenico introdotto tanti anni fa da Jim Morrison?
Il leader dei Doors ammaliava il suo pubblico creando una fusione fra rock e danze sciamaniche, il leader dei VDGG lo ammalia tuttora con la sua voce, a tratti bassa e poi improvvisamente ruggente, un momento capace di cullare e il momento dopo in grado di trasformarsi nelle urla di un uomo schizofrenico.
E il pubblico di Pistoia era attento a tutto quello che la band proponeva, attento ad ogni suono e ad ogni parola (anche in un italiano un po' sgrammaticato di Hammill).
Mentre i brani eseguiti risuonavano nella splendida Piazza del Duomo di Pistoia, girandosi a destra e a sinistra si potevano vedere ragazzi, signori di mezza età o anche uomini con bambini piccoli che, insieme ad Hammill, cantavano, a bassa voce e
con una strana riservatezza, racconti di uomini che esplorano la propria natura umana, fino a capire quanto tutti, isolati e confinati all'interno di sensazioni e frustrazioni reali o irreali, abbiano bisogno di amore e aiuto.
Se i testi sfiorano la psicologia e la filosofia, la voce di Peter Hammill fa il resto.
Nonostante gli anni, è ancora una voce capace di rendere ogni pezzo una canzone estremamente umana e talvolta allo stesso tempo ermetica e oscura. Compiendo improvvisamente balzi continui fra vari stili musicali, Hammill, Banton ed Evans creano un'atmosfera particolare, che forse, complice anche il sopraggiungere della notte, sembra unire duemila spettatori in un solo e compatto pubblico, che ascolta silenzioso fino ad esplodere in un lungo applauso a metà concerto: quasi tutti, sia in platea che in tribuna si sono alzati in piedi, riconoscendo la genialità di A plague of Lighthouse Keepers e di tutte le altre canzoni eseguite.
I grandi classici come Theme One e Refugees sono stati lasciati da parte. Forse, ora che sono veramente anziani, sarebbe strano cantare e suonare su versi come "là noi passeremo gli ultimi giorni delle nostre vite, racconteremo le solite vecchie
storie, bene, almeno abbiamo tentato, andremo verso l'Ovest con il sorriso sui nostri volti", sapendo di aver scritto versi del genere a 24 anni.
Il concerto è finito senza bis, come aveva già annunciato Hammill in precedenza. Il pubblico per un po' ha chiesto un altro pezzo, poi si è calmato.
Sebbene per più di un'ora e mezzo siano arrivati dal palco maree di suoni contorti ed eccezionali, il concerto è sembrato troppo breve, tutti lo avrebbero voluto più lungo, perché quelle suonate da questo trio sono canzoni che una volta ascoltate si vorrebbero ascoltare ancora e ancora. Figurarsi dal vivo...
"Siamo dei vecchietti non più legati all'urgenza di fare tutto e subito. Adesso lavoriamo insieme a un progetto alla volta, e poi torniamo alle nostre vite" ha detto Hammill recentemente. E come dargli torto.....
Sara Relli - ERBA magazine
Punto Giovani Europa