Il successo non ha problemi ad essere raccontato nei film. Molte, infatti, sono le pellicole che ci mostrano le odissee di personaggi famosi, odissee che culminano quasi sempre con un applausi e un pubblico in estasi.Il pubblico di Llewyn Davis, invece, è piccolo, raccolto attorno ai tavolini di locali come il Gaslight Café nel Greenwich Village del 1961.
E' questa la storia che portano in scena i fratelli Coen con il loro film "A proposito di Davis" uscito nelle sale il 6 febbraio, di certo non un film da andare a vedere per 'divertirsi. E' l'odissea personale di un uomo che cerca il successo, un folk singer fallito che sbaglia spesso, ma che persiste nella sua ricerca. Il motivo? Non vuole limitarsi a "semplicemente esistere", come spiega un giorno alla sorella.
I Coen hanno creato un altro dei loro personaggi complessi e sfaccettati e lo hanno calato in una New York fredda e invernale a rappresentare un'intera generazione di "folkies" falliti. Al loro Llewyn Davis, sincero seppur maldestro, i Coen hanno dato il volto del bravissimo Oscar Isaac, che fa la spola fra diversi appartamenti e metropolitane con il gatto rosso Ulisse in braccio, la chitarra, la barba lunga e i capelli arruffati. Il tutto partendo dalle memorie di Dave Van Ronk, cantautore americano anch'esso dimenticato in quel momento cruciale per il folk che sono gli anni Sessanta.
Le sue memorie sono raccontate in un'autobiografia, che i Coen hanno ripreso in mano e da cui hanno liberamente tratto il loro ultimo film; un film che vuole essere un omaggio a tutta una generazione dimenticata, una generazione di aspiranti artisti provenienti dalle periferie e sprofondati nel pozzo dell'oblio. Cantanti che all'epoca facevano la fame, con pochi soldi in tasca e tanta neve nelle scarpe. Non è l'America delle vaste praterie, dei cieli limpidi e del deserto texano quella che raccontano in questo film Joel e Ethan Coen.
Scene memorabili si susseguono, scene sottili e precise. Nel descrivere questo mondo folk, i due registi di Minneapolis non potevano "rinunciare a New York, la città che amiamo di più e conosciamo meglio": la New York dalle strade sporche, delle scale antincendio, ma anche dei quartieri che sembrano città nelle città, delle ferrovie e dei treni che con il loro sferragliare arrivano nel momento sbagliato, mentre Llewyn è attaccato alla cornetta di un telefono pubblico. Anche la Chicago dove approda Llewyn dopo un viaggio notturno e dalla quale riceve soltanto un'ennesima delusione, sembra essere una piccola istantanea degli Stati Uniti: un Paese che sprona i suoi cittadini a cercare di raggiungere l'American Dream, attraverso il duro lavoro, la determinazione e il coraggio, ma che non assicura il successo e i soldi.
Il protagonista torna poi a New York, a combattere battaglie verbali con l'amica, nemica e amante Jean, interpretata da Carey Mulligan o con il marito di Jean, che ha il volto di Justin Timberlake. Ma Llewyn Davis è sempre solo; anche quando è in macchina con un jazzista eroinomane e con il suo 'valletto' è come se si trascinasse da solo da un posto all'altro, da una speranza delusa all'altra, fino a culminare in un gabinetto pubblico dove una frase ironica scritta su un muro gli chiede "What are you doing?".
E come Ulisse, il gatto rosso che attraverso varie peripezie torna dai padroni da cui era scappato, anche Llewyn torna a 'casa'. Dal freddo e dalla neve vorticante nella notte di Chicago, torna a New York. Dopo una bellissima "Hang me" è dallo sguardo di Llewyn Davis, al tempo stesso sorpreso ed estasiato, che capiamo che il futuro del folk stava nascendo lì. Bob Dylan è sul palco, piccolo in una giacca larga, con l'armonica e l'ormai celebre cesto di capelli arruffati. Ed è proprio così che si apre e si chiude il film: un microfono immerso nel buio del Gaslight e la frase con cui il protagonista descrive la sua musica: "Se non è mai stata nuova e non invecchia mai, allora è una canzone folk."
Sara Relli - ERBA magazine
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