12 anni schiavo

 
locandina del film "12 anni schiavo"
Fonte: www.comingsoon.it

"Poiché la mia è la storia di un uomo nato in libertà [...] io posso parlare della schiavitù solo per come l'ho osservata, conosciuta e personalmente sperimentata". 

Così comincia il racconto di Solomon Northup, uomo nero nato libero, che a Saratoga, nello Stato di New York, ha casa famiglia e una carriera di violinista, ma che  nell'America del 1841 viene fatto schiavo, poco prima che la guerra civile insanguinasse il Paese e che il Presidente Abraham Lincoln abolisse la schiavitù. Il regista inglese Steve McQueen è tornato in Louisiana per girare il suo ultimo film "12 anni schiavo", tratto dall'omonimo libro; proprio in quella Louisiana dove sono avvenuti questi fatti terribili di schiavitù e dove, recentemente, sono state ritrovate fosse attorno agli alberi, fosse che ospitavano i corpi di schiavi impiccati. 

 Steve McQueen con questo film vuole mostrare, perché, come ha detto lui stesso, "non si può sfidare il pubblico dipingendo fuori fuoco una situazione solo perché è orribile". 
Le frustate continue, le violenze verbali, le sevizie e le umiliazioni si srotolano davanti allo spettatore senza buonismi o attenuazioni. "È importante, il messaggio è: devi guardare" ha detto il regista in un'altra  intervista: come non farlo? Gli schiavi vengono esposti davanti ai compratori, vengono fatti saltare per mostrare la loro agilità e, come ai cavalli, viene fatta aprire la bocca per dimostrare che sono sani e che valgono il prezzo. 

Chiwetel Ejiofor, che interpreta Solomon Northup è il pilastro attorno al quale girano le storie di tutti gli altri: Lupita Nyong'o è la schiava preferita da Michael Fassbender, che interpreta lo schiavista Edwin Epps, mentre Brad Pitt è l'abolizionista che alla fine riesce ad aiutare Solomon a tornare ad essere un uomo libero. In una vita obbligata a scorrere inutilmente, l'unica cosa che tiene ancora legato Solomon Northup alla civiltà è il saper scrivere. La cultura e l'istruzione diventano perciò sinonimo di libertà e, materialmente, anche il mezzo del riscatto dall'abbruttimento di una vita ridotta a sopravvivenza. 

 L'essere un nigger speciale, uno schiavo fuori dal comune, non fa altro che penalizzarlo: fin dagli inizi della sua schiavitù sul brigantino che lo porta a New Orleans, gli viene, infatti, suggerito di nascondere la sua istruzione. Costretto a prendere il nome di Platt, Solomon viene calato forzatamente in una nuova identità in base alla quale non deve saper né leggere né scrivere. L'uomo in quanto essere umano viene costantemente sminuito, mentre nel sud agrario delle vaste piantagioni di cotone gli schiavi lavorano intonando le worksongs. Il regista, infatti, indugia anche sui canti di lavoro e su quelle "preghiere innalzate per secoli", così bene descritte dall'ex-schiavo e attivista Frederick Douglass. 

L'esecuzione di Roll Jordan Roll sotto i grandi alberi della Louisiana è il momento culminante, una scena potente che omaggia le origini della storia della musica americana e che testimonia di una cultura che ha le sue basi nella religione e nella sofferenza. 

E infatti, mentre gli schiavi di Edwin Epps si ripetono, cantando, che il lavoro non è duro e l'uomo non è cattivo, ora da schiavo Solomon stesso vede con i propri occhi quello che da uomo libero aveva solo intravisto, ovvero la tragedia della sua gente, costretta alla schiavitù per precisi bisogni economici. Un film, quindi, da vedere che racconta una storia americana, perché, come ha detto Morgan Freeman, "la storia dei neri è la storia americana".

 


 
 

 

Sara Relli - ERBA magazine
 
Punto Giovani Europa

Ultima revisione della pagina: 11/1/2017

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