Da qualche anno, la Monash University di Prato ha inaugurato il programma "Visual Residency", una forma di collaborazione tra il centro universitario italiano e la Monash Faculty of Art, Design and Architecture di Melbourne con l'obiettivo di sostenere e diffondere il lavoro degli artisti australiani nel campo dell'arte, dell'architettura e del design. La Monash University si presta dunque ad ospitare ogni anno alcuni artisti internazionali dando loro l'opportunità di lavorare a nuovi progetti e sviluppare nuove idee, all'interno di un contesto ricco di ispirazioni e risorse culturali come quello toscano. Ospiti del programma di Visual Residency, fino a novembre 2014, sono due giovani artisti australiani, Pat Foster e Jen Berean, i cui lavori sono stati presentati lo scorso 9 settembre in occasione della conferenza "Visual Residency Night".
I due artisti, nonostante la giovane età, hanno già esposto numerose volte in Australia, lavorato con Martin Boyce (vincitore del Premio Turner) e ottenuto, recentemente, il Marten Bequest Award.È dalla presentazione delle loro opere, a metà strada tra installazioni e design, che nasce in noi la curiosità di conoscere da vicino la loro "poetica del fare arte". Incontriamo quindi Pat e Jen, grazie alla disponibilità della Monash University e di Mariagiulia Da Riva, referente del Visual Residency Program per il Monash Prato Centre, nello studio all'interno dell'università dove creeranno il loro prossimo lavoro, ispirato dalla loro permanenza a Prato.
Pat e Jen si conoscono, entrambi studenti, nei primi anni
Duemila a Melbourne. Il loro approccio all'arte e la decisione di collaborare
nella realizzazione di opere di design, in cui forme architettoniche incontrano
la scultura, maturano nel 2002
in occasione di una visita al "Progetto Rooftop - Parco
Urbano" di Dan Graham, esposto al Dia Center For the Arts (Chlesea, New York
City). Ad ispirare i due artisti australiani è la filosofia che sta dietro il
lavoro di Graham: creare "scultura in architettura e architettura come
scultura". Il progetto comprendeva un grande padiglione in vetro realizzato in
collaborazione con gli architetti Mojdeh Baratloo e Clifton Balch.
La scultura site-specific, costituita da pareti trasparenti
e riflettenti, giocava con gli aspetti mutevoli del paesaggio circostante e le
interazioni degli spettatori nella volontà di creare un'esperienza sociale e
partecipativa di percezione, dove lo spettatore diveniva "spettacolo" nella
lettura psicologica del sé e delle sue costruzioni.
È proprio questo aspetto dell'esperienza e della relazione
tra pubblico e opera d'arte ad influenzare Pat e Jen nel loro lavoro. Ogni loro
installazione, infatti, gioca sui concetti di "uso" e "disuso", "funzionalità"
e "non funzionalità" del binomio arte-architettura, cercando di rifuggire la
loro categorizzazione. Ogni loro opera, spesso collocata in spazi pubblici,
mira ad indagare il tipo di esperienza che le persone hanno con l'installazione
stessa, l'interazione che si instaura.
Quest'interesse preminente è visibile in opere come "Unity
and Fragments (a brief interruption)" che loro stessi descrivono come
"un'interruzione dello spazio, una scultura corale caratterizzata da struttura
e movimento". Stessa ispirazione si ritrova anche in "Unity and Fragments (how
to be alone)" e "Parallel Collision". Pur vivendo in città diverse (Pat si è
traferito a Londra, Jen a New York), i due riescono a collaborare efficacemente
grazie alla tecnologia ma soprattutto ad una profonda affinità artistica. La
cultura di provenienza e gli influssi di città dinamiche come Londra e New York
garantiscono loro ispirazioni sempre nuove.
Quando gli chiediamo di descriverci il loro scambio di idee
a distanza, Pat risponde sorridendo che avviene attraverso serrati scambi di
foto che manda a Jen chiedendo: "Is it nice?" La forza del duo artistico nasce anche dalla possibilità di
combinare le loro diverse competenze: in fase realizzativa, infatti, Jen si
occupa degli aspetti più tecnici, lavorando col programma CAD al pc, mentre Pat
si dedica alla parte creativa "by hand"; l'idea artistica viene poi
concretamente realizzata grazie alla collaborazione di architetti e designer. Quando
chiediamo loro cosa li ha spinti ad aderire al programma della Monash
University, entrambi rispondono di essere interessati a combinare gli aspetti
storico-artistici del nostro Paese con le influenze più moderne di uno Stato
giovane come l'Australia, partendo dalle peculiarità socio-culturali che
caratterizzano la nostra città: la sua storia industriale e la trasformazione
demografica sociale determinata dalla massiccia immigrazione cinese.
Un'ispirazione che risulta evidente a chiunque abbia l'occasione di entrare nel
loro studio, quasi interamente occupato, sul pavimento e sulle pareti, da stoffe
colorate, i cenci pratesi. Il lavoro
che realizzeranno in Italia sarà esposto quest'anno a Novembre a Melbourne ed è
già in calendario, per i prossimi mesi, una loro mostra a Londra.
Salutando Pat e Jen, non possiamo non rimanere colpiti dalla
gentilezza e disponibilità con cui hanno accolto e risposto alle nostre
domande. Pur avendo già conquistato un proprio spazio nel panorama artistico
internazionale, entrambi mostrano un atteggiamento di semplicità che è raro
trovare in artisti del loro calibro. Nei momenti liberi dal lavoro, vivono
appieno la città di Prato, dimostrando di apprezzare la cultura, le tradizioni
e lo stile di vita dei giovani pratesi.
I dettagli del programma 'Visual Residency' della Monash University in questa pagina
Ilenia Vecchio, Erika Greco e Barbara Merendoni - ERBA magazine
Punto Giovani Europa