Nell'ambito del progetto Color-Azioni-Urbane: arte, writing e spazio pubblico, il 22 e 23 aprile 2023 gli street artist internazionali Alice Pasquini (www.alicepasquini.com) e UNO (www.idontcareaboutuno.com) hanno realizzato negli spazi di Officina Giovani, un workshop teorico-pratico gratuito di due giorni, con quattro sessioni, che ha affrontato i temi centrali legati alla street art.
Le studentesse dell'Istituto 'Livi-Brunelleschi' in PCTO a Officina Giovani li hanno incontrati per un'intervista.
Parlaci di te...
"Mi chiamo Alice Pasquini, molti mi conoscono semplicemente come Alice. Ho cominciato a dipingere in strada trent'anni fa, cose piccole negli angoli della città ad oggi ho dipinto più di mille muri in tutti continenti."
Hai qualcosa o qualcuno a cui ti sei ispirato per le realizzazioni delle tue opere?
"Tutta la mia ricerca, fin da quando ero una studentessa era volta a trovare uno stile unico e personale, sono cresciuta insieme ad altri amici, altri artisti che dipingevano in strada. Ma la ricerca di ognuno era quella di essere unici. Il mio bagaglio artistico frutto degli studi classici mi ha aiutato a sviluppare la tecnica, però poi in strada non c’era nessuno che ti potesse insegnare come utilizzare gli spray per fare dei muri così grandi, quello è stata una scoperta che ho fatto piano piano. Quindi direi che studiare mi ha aiutato a trovare un mio stile unico."
Quali funzioni credi che abbiano le tue opere
all’interno della società? Qual è il messaggio che vuoi
trasmettere?
"Diciamo che il messaggio non è stato
studiato a tavolino, la mia è stata la necessità di andare oltre
l’accademismo, la ricerca accademica, dell’Arte con la A maiuscola.
Ed è diventato un modo per andare oltre lo studio e sul muro. I muri
hanno un significato e spesso sono fatti per dividere, mentre dipingere era un po’ come attraversarlo."
C’è differenza
per te fra dipingere in pubblico o in un luogo privato?
"Chiaramente le cose sono cambiate dagli
inizi, inizialmente quando il termine street art non esisteva,
dipingere pubblicamente aveva un valore di rottura rispetto
all’accademismo. Quando dipingo nel
mio studio, ho più libertà di comunicare, mentre invece quando sono
in strada per me importa il contesto, le persone, la forma del
muro, tutto questo influenzano la mia opera quindi una tela non è
come un muro."
C’è un’opera in cui rispecchi di più le
tue emozioni?
"Sono talmente tante le opere che ho
dipinto che guardandole al passato posso rileggere un pò quella
che è stata la mia storia e cosa che significavano per me in quel
momento. È interessante vedere come ogni opera d’arte, che per me che la
produco ha un significato, può averne un altro diverso per chi
la fruisce. Nella street art 'è sempre
questo scambio con le persone. E chiaramente è difficile affezionarsi
a un’opera, per me sono tutte importanti, tutte sono parte
della mia storia, del mio percorso e dei miei viaggi."
Il tuo essere
donna ha cambiato la tua posizione nel mondo della street art?
"Sicuramente le donne all’inizio erano
pochissime, per cui essere stata una delle prime per me è stato
importante: cominciare a firmare con il mio vero nome significava che le
altre donne potevano vedere che era una ragazza fare quelle opere. Parlando dal
punto di vista femminile, chiaramente la rappresentazione della
donna, dei soggetti, era legata alla mia esperienza di vita. E quindi
sì, visto che le donne nel corso della storia dell’arte erano
sempre state presentate da pittori uomini, era per me importante dare
una visione diversa."
C’è un’opera che rispecchia un periodo
buio della tua vita?
"Tante, sì. Ci sono tante opere che
rivedendole adesso posso legare a quel momento, mentre le stavo
realizzando non lo capivo. È interessante per esempio il fatto che per un anno intero ho dipinto muri giganti e tutte i soggetti che dipingevo avevano gli occhi chiusi. Non me ne rendevo conto, nonostante fossero stati così tanti non lo ho realizzato finché anni dopo questa situazione non è cambiata."
Per approfondimenti:
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Parlaci di te...
"Il mio nome d'arte è Uno, ho sempre disegnato nella mia vita, però nei primi anni del 2000 mi sono avvicinato al mondo della street art/urban art, ho iniziato facendo degli sticker che attaccavo un po' dappertutto, dopodichè ho cominciato con i primi poster un pò più grandi e sono andato avanti così finché non è diventato il mio lavoro, non me lo sarei mai aspettato ma è così e mi piace ciò che faccio."
Hai qualcuno o qualcosa su cui ti ispiri per la realizzazione delle tue opere?
"Ho fatto un percorso di ricerca artistica e mi ha portato ad avere un certo stile, però quando ho cominciato ero più influenzato da quel tipo di street art che mi piaceva: molta street art americana, tutti artisti che lavoravano illegalmente per strada con i poster. Nasco quindi da quel tipo di arte che lavorava con le icone, con un messaggio sul brand, sulla pubblicità cercando di cambiare quello che era il messaggio pubblicitario predominante della comunicazione di massa a mio piacimento, coniugandolo con quello che è la mia arte."
Quali funzioni
credi che abbiano le tue opere all’interno della società? Qual è
il messaggio che vuoi trasmettere?
"Adesso non veicolo particolari messaggi
politico-sociale per quanto questo per me sia impossibile, ho sempre
cercato di puntare un riflettore su determinati argomenti del
momento, ma anche argomenti abbastanza frivoli; però quello che più
ho voluto sottolineare con il mio lavoro artistico è stato quello della società 'dell'apparire a tutti i costi', quando iniziarono i primi reality in tv, come Il Grande Fratello. Per
quello ho scelto di ripetere immagini quasi in maniera ossessiva,
proprio per sottolineare la piega che aveva preso la società dove
l'apparire era più importante che l'essere."
Perché hai scelto di restare anonimo?
"Il principale motivo è la timidezza,
ma anche perché ho cominciato quando ero giovane per strada e non
ero autorizzato, anche se non ho mai danneggiato un monumento, utilizzando i poster era qualcosa di effimero, facilmente
rimovibile. Ma anche per non apparire a tutti i costi,
io non volevo essere la rockstar, non volevo che si parlasse di me,
ma di quello che poi facevo realmente sul muro. Parla quello che
faccio, la mia persona è una cosa intima."
Perché hai
scelto di stravolgere proprio il volto del bambino sulla nota 'marchio di cioccolato'?
"È stato un caso, in realtà. Era un
momento in cui ero all'università ed ero molto interessato al
situazionismo, questa filosofia della società di massa, la società
di consumi, quindi capitò che in quel periodo quando io mi stavo
avvicinando a questo mondo, la nota marca di cioccolato molto
conosciuta nella mia generazione ha cambiato di punto in bianco il volto; era un volto facilmente riconoscibile, funzionale a quello che volevo dire e quindi gli ho ridato vita,
ma fondendolo allo stesso tempo con figure e icone pop e punk che
appartenevano alla mia generazione, creando un'immagine nuova."
Tra i colori
scelti per le tue opere, ce n'è qualcuno che ti rappresenta? Cosa
vorresti trasmettere?
Più che un colore specifico, c'è una palette di colori: il giallo, l'arancione e fucsia fluo; li ho
scelti perché sono molto accesi, mi piace fonderli insieme, abbinati al bianco e nero.
Tra le varie
opere che hai realizzato siamo rimaste colpite dal disegno che hai
fatto sul pianoforte, com'è nata questa idea?
"Questa idea è nata da una commissione
privata, il proprietario del pianoforte stava facendo una casa nuova,
suonava il pianoforte e voleva un pianoforte personalizzato. Mi ha
contattato e abbiamo pensato insieme a come avrebbe potuto essere, l'ho
realizzato nel giro di un paio di mesi, però è molto rappresentativo della mia arte: la parte più materica della carta, gli strappi
di carta che però sono dipinti su carta riciclata dipinta a mano
libera con le bombolette. C'è tutto il mio mondo, mi piace lavorare
su oggetti di uso quotidiano e non, modificandoli a modo mio."
Per approfondimenti:
Sito web
Profilo Instagram
Articolo e foto del primo giorno di workshop a cura delle studentesse dell'Istituto 'Livi-Brunelleschi' in PCTO a Officina Giovani (Giulia Moruzzi, Yan Wang, Nadine Nathalie Alvarez Lazos, Jingwen Jia, Su bing Xue e Isabella Capitoni) - ERBA magazine
Foto del secondo giorno di workshop a cura di Maria Giovanna Bloise.
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