La prima parte: Party-re all'estero o restare in Italia? La classica esperienza londinese!
Quando sei a Londra forse è più facile trovare un lavoro che una casa. Alla fine del 'try day' al Corney&Barrow bar, alla mia domanda: "Sono stata presa?" la manager risponde: "Of course, you are italian!". Così, al terzo giorno, avevo un lavoro ma non avevo una stanza. A dir la verità, avevo quella a casa di Ben ma, con tutto l'affetto, viste le condizioni me ne volevo scappare! Sfato subito il mito degli inglese freddi: i miei colleghi, appena hanno saputo che stavo cercando casa e che qualche sera l'avrei passata in ostello, si sono offerti di ospitarmi insistendo ad ogni mio rifiuto! Così, prese le mie cose da casa di Ben, con una valigia da 15 chili e una borsa a tracolla con un mini pc e un giubbottino estivo, mi accingo ad andare a casa di Ana, una ragazza di origini colombiane, arrivata a Londra quando aveva sei anni. Mi accoglie l'odore di pulito che mi ricorda casa mia e una signora sui cinquant'anni, molto giovanile e aperta a parlare di tante tematiche.
Infatti, più tardi Ana mi rivelerà di aver detto a sua mamma della sua bisessualità e che, dopo un pianto durato un pomeriggio, il loro rapporto è diventato più bello di prima. Credo che sia per questo che i ragazzi di tutta Europa 'scappano' a Londra: non è tanto per le mance, un lavoro dopo due giorni dall'arrivo, un contratto regolare, una busta paga puntuale a fine mese, la possibilità di imparare, la possibilità di sbagliare, di fare, di migliorare. Non è tanto per questo, quanto per non sentirsi giudicati, etichettati, finiti. Dopo una notte in questa casa profumata, decisi di andare a vedere una stanza in Zona Tre, due minuti a piedi dalla stazione di Leyton.
Carica di tutto, arrivo e sento un odore familiare. Trovo una ragazza bionda, con i capelli lunghi che cucina una pasta. Sfodera un sorriso e mi fa: "Piacere, Alessia". Al tavolo rotondo, posizionato di fronte ai fornelli, è seduto un ragazzo moro, con un paio d'occhiali che non si capisce bene se sono da sole o da vista. La stanza, all'ultimo piano, mi è piaciuta subito: l'ho vista la mattina quando
non c'è nessuno e l'ho presa a scatola chiusa senza aver conosciuto i coinquilini. C'è il tetto a spiovente, il bagno in camera, due finestre ai lati e una sopra il letto più esterno. I letti sono tre, due paralleli quasi attaccati e uno perpendicolare, sulla parete opposta.
A me è toccato quello più esterno, con la finestra sopra: sole o pioggia mi svegliano al mattino. Ma una fortuna m'è capitata: nel letto accanto al mio c'è Alessia. Perché a Londra, se c'è una cosa di cui hai bisogno, è un'amica a cui raccontare le tue sventure tornata da lavoro, a cui dire quanto stai male, quanto stai bene, quanto ti manca chi hai lasciato in Italia, quanto avresti voglia di piangere, quanto sei confusa e quanta voglia hai di non arrenderti. Allora mi dice: "Io oggi sono off, tu che fai? Mettiti gli shorts che andiamo a prendere il sole a Brick Lane". Quinto giorno a Londra: ho un lavoro, una casa... e un'amica!
Erika Greco - ERBA magazine
Punto Giovani Europa